Roma FF18 – Anatomia di una caduta: recensione del film vincitore della Palma d’Oro
La vita, l'amore, la morte: è tutta questione di percezione. Anatomia di una caduta, regia di Justine Triet, alla Festa del Cinema di Roma dopo la Palma d'Oro al Festival di Cannes. In sala dal 26 ottobre 2023.
Si può cominciare altrimenti, omettendo che Anatomia di una caduta, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma del 2023 e nelle sale italiane dal 26 ottobre 2023 per Teodora Film, è il film vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2023? Forse. Il valore di un’opera d’arte non si presta a misurazioni brutali. Non è questione di allori e ricompense, la mira è più sottile, attaccare emotivamente cuore e coscienza dello spettatore. La routine festivaliera serve lo stesso. Serve, al regista, qui lei si chiama Justine Triet, per garantire al film la visibilità necessaria, per cercarsi un pubblico. Poi, una volta trovato, per costruirsi una piattaforma di potere e mettersi al riparo dalla miopia delle case di produzione e dalle trappole del mercato. Per quanto possibile, è chiaro.
Anatomia di una caduta farà bene alla carriera di Justine Triet. Ieri il trionfo a Cannes, oggi il passaggio d’onore alla Festa del Cinema, domani l’Oscar? Neanche per sogno. È un caso curioso e la polemica per la verità va avanti da anni: le strategie della commissione francese – che, sottolineano i maligni, finisce sempre per selezionare il film meno consono a stuzzicare il palato dell’Academy – rimangono molto misteriose. Cinicamente, se serve a spianare la strada, quantomeno in termini di nomination, al nostro Matteo Garrone, ben venga l’errore. Anatomia di una caduta era un’offerta stimolante anche per il premio più prestigioso del mondo ma dovrà accontentarsi (si fa per dire) di Cannes. Doppia, tripla anatomia; il film è tre insieme, amalgamati in maniera quasi inestricabile. Giallo processuale, ritratto di una coppia in crisi, inversione dei ruoli. Con Sandra Hüller, Swann Arlaud, Milo Machado Graner e Samuel Theis.
Anatomia di una caduta: segreti e impressioni di una vita insieme
Sandra Voyter (Sandra Hüller) è una scrittrice affermata, vive in montagna insieme al figlio ipovedente e al marito. Sta parlando con Zoé (Camille Rutherford) che è venuta a intervistarla. La conversazione è cordiale, ci sono le premesse per una chiacchierata interessante ma le due donne sono costrette a interrompersi subito perché al piano di sopra, la musica sparata a tutto volume dal marito di Sandra (intenzionalmente, così pare) rende impossibile proseguire. Conversazione interrotta, ci si aggiorna a un’altra occasione da qualche altra parte. Zoé se ne va. Esce anche il piccolo Daniel (Milo Machado Graner), a spasso nei dintorni con il cane. Al suo ritorno trova il corpo senza vita del padre Samuel (Samuel Theis). Precipitato, pare, da una finestra. La madre non è nei paraggi. Nessuno crede a una disgrazia. Sandra è la principale, la sola, sospettata.
Non ha la più pallida idea di cosa sia successo, dice. Nemmeno Vincent Renzi (Swann Arlaud), che la conosce da una vita e la difende dopo l’incriminazione da parte delle autorità francesi, è convinto al cento per cento della sua innocenza. Non bisogna scavare troppo in profondità per cogliere tracce di risentimento e infelicità. Sandra ha costruito il suo successo attingendo a piene mani dalla vita di chi le sta intorno, addirittura “rubando” un’idea notevole al marito. Samuel vorrebbe scrivere, è convinto di avere quello che serve, ma non va più in là di così. Si parla di infedeltà e recriminazioni reciproche. A pagare il prezzo più grande, al processo, è Daniel. Chiede di poter partecipare alle udienze perché ha bisogno di sapere e viene travolto dalla verità.
Anatomia di una caduta comincia tre volte: quando le luci in sala si spengono, quando Samuel muore, quando l’indagine comincia a svelarsi nella sua natura flessibile e sfaccettata. Non si tratta, solo, di capire cosa sia successo e come. Anche, soprattutto, perché. È un bel problema, le carte in mano a chi indaga – e di riflesso allo spettatore – sono ambigue. Dei fatti concreti, solo l’ombra. Manca il quadro generale, tutto è spesso fuori contesto. E poi c’è la madre di tutte le questioni, come sensibilità e personalità differenti possano condurre a diverse interpretazioni dello stesso evento. Sandra racconta la sua versione del rapporto. Le parole di Samuel, in retrospettiva, offrono un quadro all’occorrenza opposto a quello della moglie. Quasi parlassero di, avessero vissuto, due matrimoni diversi. E la verità non può stare, ecumenicamente, a metà strada. A complicare la situazione, i media sono tutti contro Sandra che si ritrova pure in casa un’estranea (Jenny Beth), messa lì dal tribunale a impedire che con il suo comportamento influenzi la futura testimonianza di Daniel. Il ragazzo ha qualcosa da dire.
La percezione è tutto, al cinema e nella vita
Sandra e la sua elastica morale di coppia, Sandra che pesca nel privato e si prende ciò che le serve, senza curarsi troppo delle conseguenze. Samuel inespresso, sopraffatto dalle incombenze domestiche, animato da una sorda ostilità. Cerca scappatoie cullando ambizioni letterarie che non ha il coraggio, più che la possibilità, di concretizzare. Nel mezzo, l’incidente che danneggia irrimediabilmente la vista di Daniel e alimenta l’inesauribile sorgente dei sensi di colpa. Il più sottile e incisivo colpo di coda di Anatomia di una caduta, partendo dalla sceneggiatura scritta a quattro mani da Justine Triet e Arthur Arari, è una sagace inversione dei ruoli e delle dinamiche. Secondo la visione patriarcale standard, per come vanno le cose nel loro rapporto, è Sandra il marito e Samuel la moglie.
L’escamotage non è solo un amo per stuzzicare la curiosità dello spettatore. La potenza sovversiva e, sì, politica, della scelta, illumina la complessità della relazione, di ogni relazione. La parola chiave, troppo spesso disattesa, è percezione. Il cinema, che per sua natura è il mezzo espressivo più ambiguo perché al suo interno li somma tutti (suono, immagine, parola, coreografia) senza tracciare una gerarchia inequivocabile, è naturalmente predisposto al compito. Vale a dire che Anatomia di una caduta avrebbe potuto essere molte cose diverse; efficace sul serio, soprattutto come film.
La verità secondo Justine Triet, problematicamente intrecciata nel mix di indagine psicologica e thriller giudiziario: per una vita di coppia che davvero funzioni c’è bisogno dell’allineamento di molte stelle. Non solo reciprocità di sentimenti: il problema di Sandra e Samuel è che manca sempre la sincronia di percezione su dove la storia debba andare e come. Da qui il risentimento e l’infelicità: basta questo per parlare di omicidio? Uno spazio di ambiguità da lasciare alla curiosità dello spettatore. Per il resto, va celebrata la totale adesione ai precetti della storia da parte di un cast notevole per verità emotiva e dedizione alla causa. Anatomia di una caduta è la metà dell’anno straordinario di Sandra Hüller; per lei, Cannes 2023 è anche La zona di interesse di Jonathan Glazer. Qui è enigmatica, fragile e prevaricatrice, carismatica e intensa. Una menzione al piccolo e molto bravo Milo Machado Graner: al suo Daniel il compito di separare fatti e percezione. E trovare il coraggio di fare le domande giuste. I grandi, sembrano non averne più il tempo.
Anatomia di una caduta: conclusione e valutazione
Tutta questione di domande: quelle giuste e quelle meno. Non come, ma perché: vale anche per il racconto della vita di coppia. Justine Triet fonde in Anatomia di una caduta giallo processuale e analisi psicologica. Usa il genere per portare altrove lo spettatore e forse l’alchimia tra le due piste (l’indagine vera e propria e non) non sempre è perfetta, ma non è questo il punto. L’inversione dei ruoli, il ribaltamento delle responsabilità (di genere e non) funziona perché affrontato con gran naturalezza. Dramma psicologicamente affilatissimo che riesce, come pochi film quest’anno, a mantenersi coerente con le premesse e non disperdere il suo notevole potenziale.