TFF36 – Angelo: recensione del film con Alba Rohrwacher
Angelo è il film su di una vicenda realmente accaduta nel Settecento, ma che perde, nella sua forma filmica, di qualsiasi impatto e interesse.
Gli esperimenti non sempre vanno a buon fine. E, così, capita anche ai film. È il caso dell’opera di Markus Schleinzer, sceneggiata dal regista stesso insieme al collaboratore Alexander Brom e ispirata ad una vicenda realmente accaduta, che ricalca proprio le graduali fasi di un tentativo di analisi antropologica negli anni del Settecento. Angelo trae il proprio titolo dal nativo africano che l’Europa accolse sotto la propria ala, il tentativo di verifica di una dama che voleva sconfiggere i pregiudizi che lei stessa non poteva confutare se non provando e assistendo con i propri occhi, ma che, nella versione cinematografica del fatto, fa perdere a quest’ultimo qualsiasi suo valore umano, storico e sociale.
Una grande nave attracca su di una spiaggia bianchissima, mentre al suo interno trasporta un carico composto da bambini di un altro colore. Provengono direttamente dall’Africa e vengono disposti in fila davanti agli occhi scrutatrici di una contessa altolocata, bianca come l’avorio eppure decisa di accogliere un piccolo africano nella propria casa. È così che comincia la parabola di Angelo – interpretato nel corso della pellicola da attori ogni volta di età differente -, educato come un principe e cresciuto nello studio delle scienze e delle arti, ospitato nelle corti più prestigiose e, infine, andatosi ad innamorare di una domestica in contrasto con la propria pelle.
Angelo – Quando un esperimento viene privato del benché minimo interesse
Angelo dovrà essere un modello. Il faro della conoscenza che possa mostrare che chiunque può sapersi elevare, a dispetto della propria pelle o della terra di provenienza. Uno studio nobile che Schleinzer ha cercato di riportare, mettendo in scena l’evoluzione dell’esistenza curiosa e non sempre felice del suo personaggio principale, ma rivelandosi molto al di sotto rispetto all’argomento che la pellicola si impegnava a trattare.
Se il nome Angelo sta per “messaggero di Dio” e la propria presenza dovrebbe significare l’apertura ad un discorso di differenza e elevazione, il lavoro filmico sulla vita del nato africano e diventato uomo in Europa non trasmette alcun informazione, artistica o comunicativa che sia, non mantenendo l’ispirazione di quella donna che decise di compiere un tale studio, per il tempo assai innovativo e importante. Il film finisce per riportare momenti della vita del protagonista riuscendo addirittura a togliere loro qualsiasi impronta interessante, appiattendo così la narrazione, ma in maniera ancora più grave rendendo noiosa la peculiare esistenza affrontata dal giovane fino alla sua dipartita.
Angelo – L’inconsistenza contenutistica e stilistica del film di Markus Schleinzer
Un racconto senza nessun impatto, prima di tutto contenutistico e, secondo poi, stilistico. Per quanto possa venir posta attenzione al gusto del secolo diciottesimo – tralasciando la scenografia e alcune sue, pur inaccettabili, sviste anacronistiche – Angelo non risalta per la sua ricostruzione tra i vari costumi e gli arredamenti alquanto modesti, all’apparenza poveri non tanto per la classificazione di un periodo o di una tipologia di aristocrazia europea, ma più per la carenza di un’estetica che provava a ricercare la classe, ma che ha raggiunto come risultato soltanto una dimessa sobrietà. E fastidiosi, poiché sterili, sono gli intermezzi che la storia si dedica per cercare di sottolineare una data condizione o un sentimento specifico del personaggio, i quali avrebbero potuto ricevere anche degli apprezzamenti nonostante la loro inutilità a livello di contesto, ma che risultano talmente mal fatti da non poter riscuotere altro se non lo sconcerto dello spettatore.
Angelo era dunque, come affermato, un esperimento. E se quest’ultimo deve solitamente portare a un qualcosa, il film incentrato sull’africano e la sua storia non è in grado di raggiungere nemmeno un solo risultato. Nemmeno uno che possa soddisfare. Un’osservazione che, portata al cinema, diventa in questo caso quanto mai sterile.