Roma FF16 – Anima Bella: recensione del film di Dario Albertini
Il nuovo film di Dario Albertini è un autentico viaggio alla scoperta delle conseguenze della ludopatia nella vita di una giovane e di suo padre.
Nella sezione Alice nella Città 2021 l’unico film italiano in concorso è Anima Bella di Dario Albertini, un film dai toni fortemente drammatici e vividi, che mostra le conseguenze della ludopatia sulla vita di una giovane ragazza, Gioia, interpretata dalla promettente Madalina Di Fabio.
Gioia deve fare i conti con la dipendenza al gioco del padre Bruno, rinchiusa in una piccola comunità rurale nelle campagne del centro Italia, non potendo fare nulla per aiutarlo a curarsi e vedendo il suo mondo cadere in pezzi da un momento all’altro. Con molti sacrifici, Gioia riesce a convincere suo padre a curarsi in una clinica specializzata, abbandonando il suo piccolo mondo e trasferendosi in città per stargli accanto e non lasciarlo in un momento così delicato della sua vita.
Anima Bella: l’autenticità di una recitazione realistica e naturalistica
Anima Bella è un racconto estremamente intimista, introspettivo e personale, che si esprime attraverso le emozioni facciali e il silenzio diegetico. Una recitazione assolutamente delicata, realistica, sentimentale, che rappresenta un modo di approcciarsi all’attorialità dal punto di vista del pubblico, più che da quello professionistico. Un racconto per certi versi neorealista, che sa emozionare, nonostante la struttura davvero basilare su cui poggia le basi il racconto.
La dimensione rurale e campagnola della provincia romana si mostra prepotentemente fin dalle primissime inquadrature, fungendo non solo da contorno ambientale e contesto della narrazione, ma ponendosi anche come una valorizzazione metaforica del territorio italiano, assumendo una connotazione naturalistica che molto ha del Neorealismo rosselliniano o visconteo.
Tale aderenza al naturalismo e alla rappresentazione di un’umanità spezzata e affranta dalla difficoltà della vita è data anche dalla spontaneità vibrante della recitazione della protagonista Gioia, interpretata dalla brillante Madalina Di Fabio attrice alla prima esperienza attoriale, ma che dimostra una pregnanza interpretativa così realistica da rimanere spiazzati dall’aderenza al suo personaggio da renderlo credibilissimo agli occhi dello spettatore.
Anima bella: Dario Albertini mostra nuovamente una denuncia della ludopatia
Il regista Dario Albertini è riuscito a realizzare un film concettualmente semplice, diretto e documentarista, in grado di mostrare le conseguenze e gli effetti del gioco d’azzardo non su chi è affetto da ludopatia, ma su chi gli è più vicino. Come ha affermato il regista stesso, dopo aver realizzato un documentario su un giocatore d’azzardo, Manuel, egli aveva intenzione di mostrare un altro lato drammatico legato a questa problematica. Il montaggio quindi si adegua perfettamente al tessuto narrativo e alle intenzioni del regista stesso, diventando quasi invisibile, impalpabile, fluido ed omogeneo, integrandosi all’ambientazione asciutta, onesta e fortemente realistica.
L’accanimento visivo della macchina da presa su Gioia è sintomatologia di una necessità narrativa e metaforica di descrivere, da un punto di vista esterno, il fardello che la protagonista deve caricarsi sulle sue giovanissime spalle. Il suo peregrinare per le campagne romane si concretizza come la rappresentazione naturalistica e realistica delle problematiche legate alla dipendenza, viste però da un punto di vista esterno rispetto al soggetto interessato, in questo caso il padre.
Si ha, dunque, una rappresentazione pietistica e patemica della vita di un ludopatico, vista attraverso gli occhi della figlia, disperata per le sorti del padre e pronta a fare di tutto pur di riportarlo sulla strada del buonsenso.
Il ricorrente simbolismo cristiano e religioso in Anima bella non è una componente casuale della narrazione: se in linea di massima assume un valore rurale, quasi popolare, avvalorando ancora di più la componente campagnola della narrazione, in quanto le piccole comunità solitamente hanno un’appartenenza religiosa molto forte, i ricorrenti simboli che si scardinano anche dall’ambiente ecclesiastico assumono un valore differente. Gioia viene spesso rappresentata come la Madonna, sia nelle vesti che dovrebbe ricoprire in una processione, sia nel vestiario: il cappuccio della felpa che molto spesso si cala sulla testa è sintomo di abnegazione, di lutto e di tutto il dolore che deve caricarsi per redimere e salvare il padre. Ma il suo sacrificio è inutile: Bruno non può essere salvato, deve immolarsi per permettere alla figlia di poter affrontare la sua vita da sola e con le sue forze.
Gioia per iniziare a vivere davvero deve liberarsi del fardello del padre, camminare verso un futuro tutto suo che la vita le ha strappato troppo presto.