Anima – My Father’s Dresses: recensione del film

Uli deve attendere la morte del padre per scoprire e capire alcune cose: un viaggio alla ricerca della conoscenza di sè

Anima – My Father’s Dresses (il titolo internazionale di Anima – Die Kleider Meines Vaters) è un film di Uli Decker presentato in anteprima a Sguardi Altrove Festival 2023.
Uli è una bambina particolare: da grande vuole fare il pirata o il papa. O altro: ma sicuramente, non vuole inserirsi né fare parte degli stereotipi di ruolo o di genere nella sua città natale bavarese.

È solo dopo la morte del padre che la madre però le consegna una scatola “segreta”: quello che è contenuto cambia all’improvviso, e radicalmente, la visione di suo padre, la percezione di sé stessa e della sua famiglia, il significato della società in cui è cresciuta. Anima è una storia di segreti di famiglia, di identità di genere e di dolori della crescita, con i sentimenti a fare da binari di montagne russe da percorrere con immagini animate e stralci documentaristici. 

Anima – My Father’s Dresses: le parole (non dette) di mio padre

Il titolo non tradotto restituisce in pieno un senso come di tempo sprecato, o anche di amore sprecato. Perché viene fuori, intenzionalmente o meno, la reale difficoltà del regista Uli Decker a raggiungere suo padre in vita, e quel senso di perdita doloroso e lancinante per aver visto sparire e morie i propri genitori non una, bensì due volte: la prima, quando uno stupido scherzo (del destino e di un amico) ha fatto sì che addirittura il telegiornale della sera rivelasse che proprio il padre fosse un travestito, sbattendo in faccia ai figli una verità negata per tutta la vita.

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Il film è, più che in altre occasioni, lo sguardo e il cuore del suo regista: e Decker reagisce oggi non come farebbe un bambino, bensì come un adulto che scopre una realtà che avrebbe voluto conoscere, e vivere. Nel racconto di Anima non c’è dispiacere e neanche vergogna o imbarazzo, ma solo il rimorso di essere vissuto separato dal proprio padre da un segreto che, a sua insaputa, li rendeva distanti.

Perché solo con la consapevolezza guadagnata più tardi capisce che alcuni lati caratteriali del genitore, che sul momento sembravano incomprensibili e magari fastidiosi, venivano semplicemente dalla sua riservatezza per non mostrare un lato della sua persona, riservatezza che lo rendeva guardingo e infelice, profondamente infelice.

Ritratto di famiglia da un inferno interno

E insieme, uno sguardo sul resto della famiglia non proprio idilliaco: la moglie religiosa che addossava a lui una colpa inesistente, le figlie che non avevano il legame sincero e profondo di cui avevano bisogno senza comprenderne il perché, stavolta addossandosi loro la colpa per un rapporto storto.

Mai come in questi casi, allora, la creazione artistica è catartica: perché Anima – My Father’s Dresses diventa un cortile dove spogliarsi di tutto ciò che è superfluo e urlare al mondo le parole che il cuore sente il bisogno di sentire, un luogo gentile, felice e vero dove fare i conti con il proprio passato.

Prisma: dalle storie vere all’identità

Come la verità rende liberi, ugualmente rende difficile tutto il resto.

Non tutti capiscono: la confessione è con sé stessi prima che con il mondo, un mondo che spesso si chiede “perché tutti devono saperlo?”. Lavare i panni sporchi in famiglia, tenere le scatole e gli armadi chiusi, sembra un modo di affrontare la vita. Un altro è aprire le scatole, disimballare i ricordi e rovistare negli oggetti di famiglia, trovando una parrucca e un rossetto, resti della donna che il padre non è mai stato e che invece avrebbe voluto essere guardandosi allo specchio.

Anima non è un film perfetto soprattutto nella forma: non sempre l’inquadratura è quella che dovrebbe essere, non sempre la macchina si muove secondo il suo sentiero. Ma anche se la grammatica non viene (quasi mai) rispettata, quello che emerge fuori è un fiume in piena di vita vera, discorsi dolorosi e scarnificati, realtà che devono trascendere. È così che la visione del film diventa un work in progress, quasi un processo interattivo, un sentiero che si percorre insieme al regista che ti prende per mano e, nell’unica lingua che conosce, ti parla di emozioni che potrebbero forse essere anche le tue. Trovando alla fine un po’ di pace semplicemente venendo a patti con ciò che siamo, con ciò che vorremmo essere, con ciò che riusciamo ad essere, ballando magari su un prato di montagna.

Anima – My Father’s Dresses è stato prodotto dalla tedesca Flare Film, con ZDF/Das kleine Fernsehspiel come coproduttore.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 3

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