Animali Randagi: recensione del film di Maria Tilli

L’opera prima di Maria Tilli è un coraggioso dramma on the road che, servendosi dei linguaggi del cinema western e del racconto di formazione, scava e interroga con sorprendente maturità, la moralità dei suoi protagonisti e così del suo pubblico. Niente più cowboy, piuttosto giovani perduti che alla guida di una scalcinata ambulanza, divengono traghettatori della morte in una terra di nessuno, tra post apocalisse e non luoghi di una remota e mai realmente definita Italia provinciale. In sala dal 27 giugno

In viaggio per la morte, o con la morte? Toni e Luca questo non lo sanno, eppure in un’Italia di provincia apparentemente post apocalittica, che si dispiega dinanzi al loro e appena dopo al nostro sguardo tra distese di campi aridi, arbusti altrettanto secchi, estrema solitudine e non luoghi, Emir ha scelto di morire. Per farlo però, vuol tornare in Serbia, accompagnato da due giovani traghettatori della morte che ancora non sanno d’essere vivi, ma che presto dovranno scoprirlo.

Queste le premesse di Animali Randagi, l’esordio al lungometraggio di Maria Tilli, che dopo un’ottima esperienza nel cinema documentaristico con La gente resta, Sembravano applausi, Illuminate – Laura Biagiotti e Lontano da casa, approda al cinema di finzione, restando visibilmente ancorata al realismo crudo delle dipendenze e così del dolore della perdizione giovanile, rintracciabile già nelle opere precedentemente citate.
Presentato in anteprima al BIF&ST – Bari International Film Festival 2024, Animali Randagi si inserisce nel solco del nuovo cinema indipendente italiano interessato ora più che mai al racconto del provincialismo e a tutto ciò che ne consegue, tanto rispetto alla formazione giovanile, quanto al legame con la terra e gli individui che le sopravvivono.

Il road movie di Maria Tilli è un western su coloro che vivono, pensandosi morti

Animali Randagi: recensione del film di Maria Tilli

Il film apre su di uno scenario arido e desolato. Una lingua d’asfalto rovente taglia in due un orizzonte indefinibile di campi, catapecchie e tralicci dell’alta tensione. Pochi attimi e il paesaggio è svanito. Lo sostituiscono due giovani uomini, che fin dalla primissima inquadratura appaiono tutt’altro che vivi, Toni e Luca, notevolmente interpretati da Giacomo Ferrara e Andrea Lattanzi.

Non sono in sella a dei cavalli, piuttosto a bordo di un’ambulanza scalcinata, che è al tempo stesso carovana e traghetto mortifero. Un vecchio poi, a lato della strada li osserva attraverso il vetro d’una bottiglia e tutto si tinge di un rosso fuoco o sangue fortemente premonitore e angoscioso. Maria Tilli esplicita fin da subito la deriva western del suo esordio, destinato però a svelarsi lentamente, prendendosi tutto il tempo necessario, fino al commiato e alla rottura e scoperto di un nuovo legame, che passa per il tradimento, la dipendenza, il dolore e la consapevolezza del tempo a disposizione.

Se è vero che Toni e Luca sono vivi, è altrettanto vero che presto qualcosa di entrambi morirà. Lo sa bene Emir – ottima la prova interpretativa di Ivan Franek – che vittima d’un cancro incurabile ai polmoni, non vuole altro che raggiungere casa, la Serbia e così la pacificazione, ossia la morte. Non potendo farcela da solo però, si serve dei due giovani traghettatori della morte, che perduti tra dipendenza da droghe, scarso o del tutto assente desiderio di vivere e amicizia tradita, dunque venduta al prezzo di qualche banconota, si ritrovano improvvisamente a scoprirsi vivi, osservando quella morte che dinanzi ai loro occhi ha già colpito, non volendo più andare via.

Carovana dicevamo, tornando al western. Il viaggio, poiché Animali Randagi è un on the road in piena regola, da tre si fa ben presto a quattro, non appena Maria (che brava Agnese Claisse) figlia di Emir dal passato turbolento, non si aggiunge ai tre uomini, mettendo in luce quella fondamentale componente che via via allontana la cupezza arida della morte, dunque l’amore, la possibilità di sorridere, di volersi bene e di tornare, quando ancora la vita concede di farlo.

Animali Randagi: valutazione e conclusione

Road movie, racconto di formazione, western e dramma sugli effetti e conseguenze della dipendenza da droghe. Questo e molto altro è Animali Randagi, un ottimo film dal passo calibrato, che senza fretta alcuna si “gode” il viaggio della morte e della riscoperta vitale, incurante della rapidità adrenalinica e altrettanto mortifera del mondo là fuori, essendo la sua narrazione confinata ad una realtà a parte, che guarda come detto al cinema western e così al post apocalittico e al cinema di provincia.

Suggestioni di Peter Handke, Ammaniti e Salvatores e così evidenti riferimenti cinefili ad una certa corrente autoriale, che vede coinvolti nomi quali Wim Wenders e Jim Jarmush, si inseguono sottotraccia nel corso di un esordio al lungometraggio di finzione senz’altro anomalo, complesso e nient’affatto banale. Maria Tilli, coraggiosamente imbocca fin da subito la via più travagliata, destinata dunque a molti, ma non a tutti, presentandosi al suo pubblico come soltanto, si badi bene, una promettente autrice e non una regista saprebbe fare.

Ci sono film che fanno bene all’anima e poi al cuore, altri invece che ancor prima di fare bene, devono necessariamente fare male, scavando e interrogando la nostra moralità, dialogando con ciò che siamo e così con ciò che potremmo essere se soltanto scegliessimo una via differente. Ferrara e Lattanzi mai così perduti, mai così bravi.
Animali Randagi è in sala a partire da giovedì 27 giugno 2024, distribuzione a cura di Adler Entertainment.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.1