Bif&st 2018 – Anna’s war: recensione del film di Aleksej Fedorchenko
Il toccante racconto della sopravvivenza di una bambina ebrea nella Russia della Seconda Guerra Mondiale.
Uno dei film più emotivamente toccanti presentati nella sezione Panorama Internazionale del Bari International Film Fest nell’edizione 2018, Anna’s War è diretto da un talentuoso regista russo: Aleksej Fedorchenko. Noto nel panorama cinematografico italiano per aver presentato a Venezia i suoi lavori First on the Moon e Silent Souls, rispettivamente nel 2005 e 2010, il lungometraggio racconta l’epopea di una bambina ebrea che, dopo esser sopravvissuta all’uccisione dell’intera sua famiglia, grazie al sacrificio di sua madre, che postasi davanti a lei è diventata scudo umano, si nasconde all’interno del camino dell’ufficio di un comandante nazista.
L’assordante silenzio racconta l’epopea della piccola protagonista in Anna’s War
Interpretato completamente dalla piccola attrice Marta Kuzlova, Anna’s War segue le sofferenze e la prigionia di Anna, costretta a nascondersi per non essere catturata dagli inquilini dell’edificio. La commovente interpretazione della protagonista costruisce un film in grado di smuovere l’animo dello spettatore schiaffeggiandolo con violenza. Il lungometraggio, che fa dei suoi silenzi uno dei suoi grandi punti di forza, è la perfetta metafora del non arrendersi al nemico, anche quando si è letteralmente nella pancia della bestia. Anna, silenziosa e affamata, conosce la gente da cui si sta nascondendo e proprio per questo impara pian piano a muoversi nel buio della notte, fantasma invisibile che vaga tra le stanze di un edificio semi vuoto e decadente.
Posizionando la macchina da presa a pochi centimetri dal volto della bambina, il regista segue continuamente il suo percorso di prigionia lungo quasi due anni. A lungo andare, la piccola protagonista sembra perdere quello spettro di sentimenti che rendono un individuo umano. Incapace di poter parlare con chiunque ed incapace di potersi far aiutare, Anna cade pian piano in un tunnel purgatoriale fatto di passi sommessi e pianti soffocati nel gelo della Russia nazista.
Aleksej Fedorchenko abile nel mostrare il cambiamento psicologico di Anna
Il regista dimostra una grande abilità nel portare in scena una storia di sopravvivenza senza l’ausilio diretto di altri personaggi. Seppur altre figure si aggirino qua e là nella storia, senza però mai interagire davvero con la protagonista, è solamente Anna la chiave di volta del lungometraggio. Fedorchenko inoltre si avvale di un ritmo cinematografico e narrativo sempre costante, fondato su brevi scene e situazioni che ogni volta si dissolvono nel buio più nero come a voler enfatizzare ancora di più la solitudine di questa bambina in continua lotta per la vita. Se in The 12th Man di Harald Zwart, film ambientato allo stesso modo nel medesimo periodo storico, il protagonista anch’egli solitario fugge dal nemico alle sue calcagna, in Anna’s War, quasi in modo totalmente complementare, la protagonista si cela agli occhi del nemico ignaro della sua presenza. Con un’esperienza emotiva immersiva e toccante, lo spettatore è mosso da un sentimento di forte empatia nei confronti di Anna, sempre più fragile nel corpo e nella mente, ma che, tuttavia, non perde mai quell’unica scintilla di luce che le permette di continuare a combattere per se stessa. Come un gatto in solitaria, anche Anna trova pian piano il modo per nutrirsi e assolvere alle primarie attività del cercare riparo dal freddo. La semplicità registica si fonde quindi con una scrittura essenziale ma potente ed autentica in grado di colpire al cuore di chi guarda sin dalla prima sequenza.