Apartament 7A: recensione del prequel di Rosemary’s Baby

Il film di Natalie Erika James non riesce per un soffio a riuscire nel suo intento di omaggiare Rosemary's Baby né tantomeno a distaccarsene

Tratto dall’omonimo romanzo di Ira Levin, Rosemary’s Baby ha riscritto la storia del cinema horror grazie alle atmosfere claustrofobiche ed angoscianti, alle interpretazioni magistrali e alla rilettura della maternità in chiave orrorifica. Un successo che portò ad un sequel televisivo nel 1976 dal eloquente titolo di Look What’s Happened to Rosemary’s Baby e ad un remake formato serie tv nel 2014.
Negli anni, si è cercato di rendere Rosemary’s Baby un vero e proprio universo narrativo anche se non con i risultati sperati. Nel 2008 la Platinum Dunes ne acquistò i diritti con l’idea di far uscire un remake cinematografico, progetto naufragato ufficialmente nel 2021 quando Apartament 7A è entrato in produzione. Prequel del famoso Rosemary’s Baby, Apartament 7A non è stato svelato fino all’annuncio ufficiale che il film sarebbe stato destinato in esclusiva a Paramount+.

Apartament 7A ci mostra il Bramford Building tre anni prima gli avvenimenti di Rosemary’s Baby

Apartament 7A. Cinematographe.it

Il film del 1968 aveva inizio con una coppia di novelli sposi che si trasferisce nell’appartamento di uno storico palazzo di New York conosciuto per gli omicidi, i suicidi e i rituali satanici avvenuti al suo interno. Rosemary fa la conoscenza di Terry, una ragazza che è stata accolta dai suoi vicini di casa Minnie e Roman, che pochi giorni dopo si uccide lanciandosi dalla finestra. Apartament 7A, ambientato nel 1965, ha come protagonista proprio Terry e la sua storia prima dell’arrivo di Rosemary.

Terry Gionoffrio (Julia Garner) è una ballerina con una brillante carriera davanti a sé che viene bruscamente interrotta da un infortunio. Rifiutata da un provino per un importante spettacolo di Broadway proprio a causa del suo incidente, Terry tenta di contattare direttamente il produttore e lo segue nella palazzina in cui abita, ma ha un malore e perde i sensi. Soccorsa da Minnie e Roman Castevet (interpretati rispettivamente da Dianne Wiest e Kevin McNally), i due le propongono di vivere gratuitamente in un appartamento nell’edificio di loro proprietà. La vita sembra sorriderle: vive in un bell’appartamento, riesce a convincere il produttore a darle la parte e le condizioni del suo piede migliorano più in fretta del previsto. La felicità di Terry però è di breve durata. L’anziana coppia diventa man mano sempre più invadente, è vittima di allucinazioni che si fanno sempre più spaventose e scopre di essere incinta.

Un palazzo claustrofobico, sotterranei labirintici e il mostruoso materno

Apartament 7A. Cinematographe.it

La regista e sceneggiatrice Natalie Erika James riesce perfettamente a ricreare un’atmosfera angosciante e claustrofobica in cui il palazzo diventa un vero e proprio personaggio. La storia prosegue tra demoni, vividi incubi e allucinazioni che prendono vita, corridoi bui e stretti, passaggi segreti e i sotterranei del Bramford Building che riescono a donare ad Apartament 7A le giuste ambientazioni per quello che è a tutti gli effetti un horror psicologico. Il labirintico palazzo, le invadenze dei vicini che molestano Terry e le allucinazioni sono tutti escamotage narrativi ben studiati per far entrare lo spettatore nella mente devastata della donna il cui tracollo emotivo inizia nel momento in cui scopre di essere incinta.

Da decenni il genere orrorifico attinge a piene mani al concetto di mostruoso femminile declinandolo in tutte le sue sfumature. La maternità è al primo posto con film che ne analizzano ogni aspetto dall’affrontare il lutto per un figlio perso, al pentimento di aver avuto figli fino ad arrivare alle difficoltà di crescere un figlio da sole; il cinema horror si è spinto sempre più in là rispetto ad altri generi nel mettere in scena le fragilità umane e la difficoltà di essere donne. Apartament 7A non fa eccezioni e porta sul piccolo schermo un ulteriore tassello a questo argomento che sembra essere infinito: quello dell’aborto.
Natalie Erika James e Julia Garner riescono nel non semplice compito di parlare di aborto e della condizione della donna nel 1965, difficoltà che ha affrontato Terry in un’America di cinquantanove anni fa che somigliano spaventosamente a quelle di oggi. Terry è terrorizzata dall’idea di diventare madre e noi proviamo la medesima paura, riuscendo ad empatizzare con una ragazza i cui dubbi la lacerano. Una gravidanza vuol dire abbandonare il suo sogno e la sua carriera, interromperla al contrario è una strada intrisa di ostacoli e giudizi.

Un omaggio mal riuscito

Quel che lascia l’amaro in bocca di un film che ha tutte le carte in regola per essere degno di nota è la prevedibilità. Quello che doveva essere un omaggio a Rosemary’s Baby si è rivelato essere più una copia che un’espressione di stima. Dal palazzo, ai personaggi la cui natura è stata svelata nel film originale fino ad arrivare alla stessa Terry, tutto in Apartament 7A ha un che di già visto.

Il film di James non riesce ad evitare quel fastidioso effetto di déjà-vu che si ha da inizio a fine a causa di scelte poco coraggiose e da una sceneggiatura prevedibile. Se con le atmosfere, le location e le interpretazioni Apartament 7A colpisce positivamente, è proprio a causa di una sceneggiatura i cui passaggi sono fin troppo ovvi che il film perde qualsiasi appeal sul pubblico che capisce fin dalle prime sequenze cosa accadrà, specialmente se si è già visto Rosemary’s Baby.

Apartament 7A: valutazione e conclusione

Apartament 7A. Cinematographe.it

L’estetica gotica ed opprimente, la regia curata, l’interpretazione di Julia Garner che ha dato vita ad una protagonista tormentata e schiacciata da una società repressiva ed oppressiva e quella di Dianne Wiest che tramite la sua voce riesce a creare un intero arco narrativo del suo personaggio, le tematiche e il modo in cui sono affrontate sono i motivi per cui consigliamo la visione anche se la delusione è dietro l’angolo.
A frenare Apartament 7A dall’essere un ottimo film horror è la poca originalità a favore di una sceneggiatura che ricopia passo per passo quella dell’opera originale risultando, alla fine dei conti, un esercizio di scrittura poco riuscito.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.5