Apollo 10 e mezzo: recensione del film d’animazione di Richard Linklater
Apollo 10 e mezzo è un nostalgico viaggio spaziale, ma ancor prima emotivo, alla ricerca del sapore perduto dell'infanzia.
Richard Linklater ha fatto della rappresentazione cinematografica del trascorrere del tempo e del sentimento correlato della nostalgia la sua cifra stilistica per eccellenza: dalla romanticissima e indimenticabile Before Trilogy (che include Before Sunrise, Before Sunset e Before Midnight) fino ad arrivare all’elaboratissimo Boyhood, girato in tempo reale nell’arco di 10 anni, il regista statunitense si è sempre destreggiato con le implicazioni del crescere e del cambiare, fino ad approdare all’idea di Apollo 10 e mezzo, ennesimo racconto di formazione questa volta trasposto con la tecnica realistica del rotoscopio nel mondo della fantascienza.
Apollo 10 e mezzo – disponibile dall’1 aprile su Netflix – racchiude nel titolo l’essenza del messaggio del film: l’età del piccolo Stanley si fonde infatti con il nome dell’improbabile missione spaziale alla quale il ragazzino è chiamato dalla Nasa, in qualità di apripista della missione spaziale ufficiale (Apollo 11) destinata a cambiare per sempre le ambizioni dell’essere umano al di fuori della Terra: l‘allunaggio.
Siamo quindi alla fine degli anni ’60, nella stessa Houston sede della celeberrima base spaziale, e Stanley si appresta, in preda a un misto di confusione e calma rassegnazione, ad essere il primo bambino a mettere piede sulla Luna, all’interno di una missione segretissima della quale non verranno informati nemmeno i genitori, convinti – con la complicità e i potenti mezzi della Nasa – che il tempo trascorso lontano da casa verrà impiegato in un campo estivo. Successivamente e in intermittente sovrapposizione, la narrazione si sposta sul contesto storico-culturale in cui avvengono i fatti, descrivendo un’America tutta proiettata verso la realizzazione del sogno più ambizioso di sempre, uno di quelli in grado di unire un intero Paese, mentre sullo sfondo si consuma la ben nota Guerra Fredda verso una Russia che oggi si fatica a vedere tanto arginabile, e i combattimenti in Vietnam mietono vittime innocenti, creando una fastidiosa dissonanza cognitiva.
Apollo 10 e mezzo: una potente macchina del tempo
La famiglia di Stanley è numerosa, affollata di fratelli e sorelle invadenti e dispettosi, ognuno con le proprie ossessioni e manie infantili/adolescenziali, mentre la scuola è un misto di divertimento e punizioni diventate ormai improponibili ma, a quei tempi, all’apparenza non troppo traumatiche. I genitori, affettuosi e distratti, lasciano che i figli facciano i loro percorsi, spesso spericolati, mentre tentano di tenere insieme la famiglia attraverso occasioni di divertimento comune, come l’indimenticabile Drive-in.
Apollo 10 e mezzo rivela gradualmente la sua vera natura non tanto di film avventuroso, quanto di pretesto per descrivere sensazioni e sentimenti relativi a un tempo – il passato – destinato a non tornare ma non per questo dimenticabile, rievocando le atmosfere di un’epoca sicuramente imperfetta ma in cui sognare costava meno e la vita scorreva più spensierata, in attesa che la grande impresa si compisse, decretando definitivamente la superiorità del popolo americano e aprendo le singole menti a futuri scenari di conquista sempre più grandiosi e illimitati. Un’epoca in cui tutto sembrava possibile e forse lo era, di cui Richard Linklater offre uno spaccato oggettivo e al tempo stesso personale, attraverso il filtro imprescindibile della memoria, lasciando trasparire quel dolce e onirico sentimento di nostalgica disillusione che tanto amiamo del suo cinema.
Con le irresistibili musiche di fine anni ’60, Apollo 10 e mezzo è disponibile su Netflix; nel cast del film Jack Black (in lingua originale la voce narrante di Stanley da adulto), Zachary Levi, Glen Powell, Josh Wiggins e Lee Eddy.