Ardente pazienza: recensione del film Netflix
Il dio dell’amore vive ancora, e il suo compito continua ad essere quello di colpire senza distinguo divinità e uomini. Nella storia raccontata dal nuovo film Netflix Ardente Pazienza, disponibile sulla piattaforma streaming dal 7 dicembre 2022, Cupido resta quel sadico guerriero che affonda (irrimediabilmente) nell’anima dei due prescelti versi – non spade – col fine di trascinarli, per amore, nel mondo della poesia fatto di suggestioni enigmatiche e dolcissime. Perché “versi nascondono i segreti” di Mario e Beatriz nel lungometraggio diretto da Rodrigo Sepulveda, tratto dal romanzo Il postino di Neruda (Ardiente paciencia) dello scrittore cileno Antonio Skarmeta – opera sui cui si basava Il postino con Massimo Troisi. “El cartero de Neruda” visto da Sepulveda accentua, però, senza coglierli pienamente – gli elementi di una fantasilandia che trema regolarmente ma che può essere immortale: di quel mondo immaginario costruito da due amanti con il solo desiderio e l’ausilio di parole magiche affidate alla prova del vento. Ardente pazienza è la prima produzione Netflix realizzata in Cile, che vanta, tra le sue firme, il nome di Pablo Larraín (Spencer) che nel 2016, lo ricordiamo, ha diretto un film ispirato a fatti realmente accaduti al poeta Pablo Neruda.
Ardente pazienza: non potendosi incontrare, due giovani dipingono in versi la realtà del loro amore
I riferimenti principali sono la poetica di Arthur Rimbaud e il mondo di Pablo Neruda: la lirica che attinge alla libertà dell’immaginario del primo, la poesia-pittura che dipinge la realtà attraverso le parole del secondo: una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento. Il titolo del film riprende un celebre verso tratto dal poema in prosa del poeta maledetto Una stagione all’inferno: “E all’aurora, armati di una ardente pazienza, entreremo nelle splendide città”, dove l’aurora non è che l’apparizione della luce (con la notte muoiono i suoi demoni). Tenta di inondarci con concetti astratti che suscitano piacevoli sensazioni, la sceneggiatura di Ardente pazienza è intrisa di poesia: dalle Odi elementari – le poesie alate di Neruda – ai versi scritti dai due protagonisti declamati spesso sullo sfondo delle acque cilene. Il regista, infatti, ha voluto riportare la storia, che vede in primo piano il postino di Isla Negra, lì dove originariamente era nata. Mario (Andrew Bargsted) è un giovane pescatore che non è tagliato per ereditare il mestiere del padre; sogna di fare il poeta, e si innamora della figlia di una ristoratrice del posto. Quando riesce ad ottenere un lavoro come postino, e con la sua bicicletta deve consegnare la posta all’unica persona dell’Isola Nera che riceve corrispondenza (Pablo Neruda), il protagonista si ritrova in un mondo di metafore, stimolante e nuovo.
Un tentativo sfumato di spiegare un mondo. Un oceano di parole per un film che non ha le profondità del Pacifico…
Le parole sono luce o energia condizionante. Hanno una loro vibrazione, e possono raggiungere i luoghi più lontani e ideali; oltrepassare mondi sbarrati, farci passare il divino fra le mani permettendoci di arrivare nei posti ordinati dal desiderio. Questo è quello che il film Netflix avrebbe dovuto rappresentare, ma il lungometraggio espone solo superficialmente questo ragionamento sull’uso delle parole, sulla loro potenza incendiaria che può arrivare a “tagliare” la pelle delle persone. Forse perché l’interesse maggiore del regista era restituire un’epoca piena di forza ed energia politica come quella del 1969 in Cile, alla vigilia della presidenza di Salvador Allende? Ma nei fatti, e a distanza di quasi tre decenni, Sepulveda riporta sullo schermo la storia scritta da Skarmeta, rivendicando la sua collocazione geografica, storica e politica. Malgrado le sue premesse, Ardente pazienza ci appare come un tentativo troppo sfumato di spiegare come insiemi di parole (o insiemi di versi) possano significare un mondo che proprio non traspare dallo schermo nelle immagini e negli stessi dialoghi dei protagonisti: un oceano di parole che non ha le profondità del Pacifico. Lo storytelling si avvale anche di personaggi convincenti e a tratti esilaranti e assurdi, come quello della suora-intermediaria d’amore, ma per lo più Andrew Bargsted, Vivianne Dietz e Claudio Arredondo prendono il posto di Massimo Troisi, Maria Grazia Cucinotta e Philippe Noiret. E se il Mario Ruoppolo interpretato da Massimo Troisi resta indelebile nella nostra memoria, perché per dirla con Philippe Noiret: “Massimo aveva l’anima sul volto“; il personaggio rivisto da Andrew Bargsted, non riesce proprio a trovare la maniera di comporre il suo poema…