Aspromonte – La terra degli ultimi: recensione del film di Mimmo Calopresti
Aspromonte - La terra degli ultimi del 2019 è un film di Mimmo Calopresti con Marcello Fonte, Valeria Bruni Tedeschi, Francesco Colella, Marco Leonardi e Sergio Rubini.
Aspromonte – La terra degli ultimi, tratto dal libro Via dall’Aspromonte di Pietro Criaco, è l’ultima fatica del regista Mimmo Calopresti, che ne ha anche curato la scrittura insieme a Monica Zapelli, già autrice de I cento passi, con la collaborazione di Fulvio Lucisano, mentre la fotografia è di Stefano Falivene. Nota a margine, la musica è di Nicola Piovani.
La pellicola vanta un cast d’eccezione capitanato dalla quattro volte vincitrice del David di Donatello per la migliore Attrice Protagonista, Valeria Bruni Tedeschi e dalla Palma d’Oro a Cannes 2018, Marcello Fonte, ai quali seguono i nomi di Francesco Colella, Marco Leonardi e Sergio Rubini. Aspromonte – La terra degli ultimi è una produzione Italian International Film (la società di Lucisano Media Group) in collaborazione con Rai Cinema, prodotto e Fulvio e Federica Lucisano, con il contributo di Regione Calabria.
Aspromonte – la terra degli ultimi: la trama
Siamo nel 1951. Africo è un paesino sperduto tra le montagne dell’Aspromonte i cui abitanti, dimenticati e respinti dal mondo civilizzato, vivono (o meglio sopravvivono) con grande dignità in una situazione di totale povertà e abbandono: senza elettricità, acqua corrente, strade, scuola o un medico.
Proprio a causa di questa ultima mancanza, la piccola comunità, capitanata da Peppe (Colella), il loro leader, si reca dal sindaco della “marina”, il quale si vede costretto ad impegnarsi nell’esecuzione di interventi di aiuto. Nel frattempo è giunta nel paesino Giulia (Bruni Tedeschi), una maestra di Como, armata della ferma intenzione di impegnarsi ad istruire i bambini della comunità. Ad accoglierla c’è il Poeta (Fonte), l’anima sognatrice del paesino, ingenuo e pregno di una semplicità e di un’amore verso la cultura e l’arricchimento dell’anima.
Sarà l’ennesima tragedia avvenuta a causa delle mancate promesse del sindaco a far traboccare il vaso e a spingere tutta la comunità a costruire una strada, in modo da avere, finalmente, un collegamento con il mondo esterno. Non è però dello stesso avviso Don Totò (Rubini), il brigante del posto, il quale vedrebbe di certo intaccata la sua autorità dall’evoluzione del paesino e che per questo si opporrà in ogni modo.
Il destino di Africo e dei suoi abitanti si trova presto in bilico tra la voglia di riscatto della sua comunità e un mondo esterno che non vuole avere con loro nulla a che fare.
Aspromonte – la terra degli ultimi: il film nel film
Mimmo Calopresti, originario di Polistena, calabrese doc, trova ispirazione in un libro che parla della sua terra attraverso la metafora di una piccola comunità indigena che, seppur costretta a vivere nella miseria e nell’abbandono, arde di una dignità e di una voglia di riscatto che è metafora dell’ardore della regione stessa.
Con questo in testa e nel cuore, il regista si reca da Fulvio Lucisano, uno dei più importanti produttori cinematografici italiani contemporanei, e si presenta non solo con una storia che lo ha convinto, ma anche con una promessa: portare sullo schermo un film che possa raccontare la Calabria e, con lei, anche tutti i suoi innumerevoli figli, di cui il signor Lucisano (così come la maggior parte del cast chiamato a lavorare), orgogliosamente, fa parte.
Dopo la trovata comunione d’intenti i due mettono insieme mano all’adattamento del romanzo di Criaco e creano una sceneggiatura in cui uno dei centri nevralgici è il piccolo Andrea, uno dei bambini di Africo. A lui sarà dedicata la chiusura poetica della pellicola, che da vicino riguarderà proprio il produttore. Sapete quale può essere il rovescio delle medaglia di un eccessivo trasporto?
“La ballata dell’amore cieco o della Nostalgia“
Aspromonte – la terra degli ultimi è un film attuale, a tratti; una favola realistica, e non (il cui debole scioglimento coinvolge tutti i personaggi); un paesaggio neorealista (i bambini a piedi nudi sono straordinari, così come lo sono il trucco ed il lavoro di scenografia), in cui si usano termini fuori dal tempo; una confusionaria vicenda metaforica; una pellicola di denuncia politica e sociale le cui tematiche (belle e giuste) si ostacolano a vicenda e una storia sull’importanza di sognare… perché sognare non costa nulla.
Il Poeta di Fonte funziona nel suo ruolo nella comunità, specialmente nella relazione con la parte formata dai più piccoli, ma gli viene man mano imposta una complessità che, strada facendo, lo porta a perdersi; il personaggio della Bruni è interessante perché racchiude in sé il significato del sentirsi “ultimi”, ma non viene minimamente sviluppato e finisce con l’essere presto fuori contesto, sia per la sua funzione di bella della favola, sia per la povertà della sua storia d’amore con il protagonista maschile.
La cosa buffa è che i due insieme sono una delle poche cose che funzionano.
Le tematiche principali della dignità umana e dell’importanza dell’apertura verso l’esterno (attraverso l’istruzione o, più fisicamente, con una strada di pietra) invece di integrarsi, cozzano, lasciando spazio all’importanza di sognare, che lascia poi spazio a sua volta alla malinconia, che a sua volta lascia spazio al ritorno alle origini, che lascia poi spazio a qualcos’altro.
Calopresti e Lucisano sono due eroi romantici che amano la loro terra e decidono, per questo, di fare un film che ne racconti il popolo, lo spirito, la poesia, la storia e la lingua, spinti dal desiderio di poterla rivivere in primis loro stessi. Ma, ammaliati da questo, non si accontentano e scrivono una storia che vuole raccontare ancora di più, giudicando la loro creatura in grado di spingersi oltre, portandola invece a collassare.
“E, mentre loro vivevano il sogno di raccontare se stessi e la loro terra, la Nostalgia, canaglia, gioiva: due uomini avevano ucciso la loro opera per troppo amore.”