Avatar – La via dell’acqua: recensione del film di James Cameron
Un film da assaporare con lo sguardo, che ci ricorda la vitalità e l'importanza del cinema. Avatar - La via dell'acqua contrappone a una trama basilare una spettacolarità senza eguali.
Spettacolare e immersiva, così potrebbe definirsi la visione di Avatar – La via dell’acqua (o Avatar 2 che dir si voglia), il colossale film diretto da James Cameron e al cinema dal 14 dicembre 2022 con 20th Century Studios.
Alimentato da un budget di circa 250 milioni di dollari, impreziosito da un cast stellare e suggellato da effetti speciali stratosferici, l’opera di Cameron – basata su una sceneggiatura scritta dallo stesso regista insieme a Rick Jaffa e Amanda Silver – replica la grandiosità visiva del primo film, palesandosi con la maestosa e scintillante furia che si addice a Pandora.
Se Avatar, uscito nel 2009 e irremovibile dalla vetta delle pellicole col maggior incasso, aveva puntato tutto sul 3D e su una storia alquanto basilare, questo sequel, che raggiunge le sale dopo tredici anni, applica la stessa strategia. La storia è pressoché banale, l’intreccio non conta, Avatar 2 ci rende dei perfetti Na’vi e, una volta indossati gli occhialetti, quell’alieno mondo blu diventa anche il nostro. Ancora!
Un universo che al di fuori della sala cinematografica non sarebbe tangibile, non sarebbe concepibile e questo, tuttavia, è il miracolo che si accende nel momento in cui James Cameron imbraccia la macchina da presa: il cineasta canadese conosce la ricetta per trascendere le leggi della settima arte, trasmigrando l’artificiosità in intrattenimento nudo e crudo.
Le immagini esplodono naturalmente sotto ai nostri occhi, in una dimensione fantastica che fa sempre attenzione ad arpionare la realtà quel tanto che basta a non farsi trascinare negli abissi.
Abissi, già, questo è fondamentale! In una saga in cui a dominare è un pianeta alieno va da sé che il fulcro di tutto sia l’esplorazione dello stesso. Se Avatar e la prima parte di questo sequel sono ambientati nelle foreste (è lapalissiano e molto popolare il paragone con la favola disneyana Pocahontas), Avatar – La via dell’acqua si concentra perlopiù nel mondo marino (in termini di film d’animazione, potremmo forse banalmente parlare di un legame con La Sirenetta?!). Perché ormai quelle liane, quella vegetazione, quegli animali e quei canti ci sono familiari e non sortirebbero alcun fascino, così la chiave di tutto è fuggire da quell’ambiente per esplorarne un altro, salvo aver prima creato un legame con la pellicola precedente, aver edificato un ponte narrativo stabile per la fuga.
Avatar – La via dell’acqua: una storia quasi banale per giustificare la creazione di un mondo spettacolare
Se alla fine del primo capitolo avevamo lasciato Jake Sully (Sam Worthington) al fianco della sua amata Neytiri (Zoe Saldana), completamente integrato nella cultura locale, in questo secondo capitolo la storia d’amore si trasforma in una vicenda familiare. La coppia ha quattro figli – tre naturali e una adottiva, Kiri (nata dall’avatar incosciente della dottoressa Grace Augustine, la dottoressa interpretata da Sigourney Weaver), a cui spesso si unisce anche un ragazzino umano lasciato indietro dai coloni (Spider, interpretato da Jack Champion): una specie di Tarzan che tenta di amalgamarsi ai Na’vi dipingendosi il corpo e imitandoli in tutto e per tutto.
Cosa può rompere l’idilliaco contesto venutosi a creare se non una nuova invasione da parte degli abitanti del cielo? Il cattivo per eccellenza, ossia il colonnello Miles Quaritch interpretato da Stephen Lang è stato abbattuto, ma la sua memoria è stata preservata e al posto del suo vecchio corpo umano è stato creato un avatar. E quindi si, la battaglia architettata da umani desiderosi di accaparrarsi le ricchezze di una terra incontaminata, si trasforma in Avatar – La via dell’acqua in uno scontro guidato perlopiù dalla vendetta personale: il colonnello vuole trovare e punire a tutti i costi Jack e quest’ultimo, pensando che la sua dipartita basti a salvaguardare la sua gente, convince l’intero nucleo familiare a rifugiarsi presso delle remote isole, in cui vivono i clan dell’acqua.
Inizia con tale pretesto l’esplorazione di una specie differente rispetto a quella a cui appartengono Sully e la sua famiglia, una specie che si è adeguata anche fisicamente a vivere a contatto col mondo marino, mutando la forma delle mani, rafforzando la coda, imparando a cavalcare animali capaci sia di volare che di nuotare e a conoscere pregi e difetti della flora e della fauna locale. In questo mondo i Sully sono degli stranieri, dei “mostri” e la differenza si evince anche dal diverso colore della pelle: l’universo che ci accingiamo a scandagliare smette di essere blu per tingersi d’azzurro e di verde.
L’esplorazione dell’oceano al servizio della settima arte: Avatar – La via dell’acqua è uno spettacolo per gli occhi!
In questo modo Cameron ha creato le condizioni ideali per stupire ancora una volta gli spettatori, mettendo al servizio del cinema una rappresentazione incredibilmente realistica e avvincente in cui la spettacolarità si lascia sviscerare dalla spiritualità e dalla bellezza, servendosi al meglio della digitalizzazione e del 3D. Quest’ultimo viene dosato con parsimonia e arguzia, adoperato per risaltare la profondità e i dettagli di scene e volti.
Il lavoro tecnico è, insomma, impeccabile! Che si tratti di una scena di combattimento o di un’immersione alla scoperta di strane meraviglie, tutto è delineato con maniacale accuratezza e con la spettacolarità cinematografica giusta a stimolare l’effetto WOW.
Quando ci si immerge tra le acque di questo mondo alieno, per tanti versi (e giustamente) simile ai nostri paradisi terrestri, si ha quasi la piacevole impressione di guardare un documentario e a tal proposito è lecito sottolineare il legame che intercorre tra James Cameron e la ricerca oceanica, lo stesso che l’ha spinto, nel 2012, a immergersi nella Fossa delle Marianne, il punto più profondo dell’Oceano Pacifico. Se all’epoca si disse speranzoso di continuare a coltivare entrambe le sue passioni, adesso possiamo dire che in Avatar – La via dell’acqua la sua intenzione sembra essersi realizzata pienamente.
Ovviamente questo nuovo contesto favorisce anche l’ingresso nel cast di nuovi personaggi, come Cliff Curtis nel ruolo di Tonowari, il capo del clan della barriera corallina Metkayina e Kate Winslet in quelli della sua compagna, Tonowari. Una figura, quest’ultima, che si eguaglia a quella di Neytiri, tratteggiando i capisaldi di una società ancorata alle logiche patriarcali e ancestrali. Un dettaglio che in fin dei conti non influisce sulla storyline, mentre potevano essere sviluppate ulteriormente altre sfumature che la trama lascia in sospeso, come ad esempio la caccia agli enormi animali marini detentori di un serio in grado di bloccare il processo d’invecchiamento umano (un rimando alla caccia alle balene che avrebbe potuto infervorare il pubblico animalista) o la funzione dei coloni umani rimasti su Pandora.
Roteando ancora sulla questione grafica, è incredibile notare come la maestria e l’autorevolezza di Cameron si traducano in un autocitazionismo sbalorditivo che ci fa rivivere – soprattutto verso la fine – l’epicità scenica di capolavori come Titanic, ma sparsi qua e là ci sono anche Aliens – Scontro finale, Terminator, The Abyss.
La trama di Avatar – La via dell’acqua, come accennavamo, sparisce in confronto a ciò che si coagula dinnanzi ai nostri occhi. C’è senza dubbio molta spiritualità, c’è il confronto generazionale, un pizzico di ambientalismo, ma tutto sembra essere in fondo poco coeso e per niente impattante.
Questo secondo capitolo è, al netto di tutto, un film da mangiare con gli occhi, un’opera da godere nel buio intenso della sala cinematografica, una pellicola che ci ricordi perché esiste la settimana arte. In un certo senso, è come se Cameron tenesse a mente lo stupore degli spettatori che per la prima volta videro un treno in movimento agitarsi sul grande schermo (ci riferiamo a L’arrivo di un treno alla stazione di La Ciotat, dei fratelli Lumière) e attingesse da quella meraviglia, arricchendola però di moderna tecnica.
Il film, prodotto da Cameron e Jon Landau, vede nel cast anche Joel David Moore, CCH Pounder, Edie Falco, Jemaine Clement, Giovanni Ribisi, Sigourney Weaver (nel doppio ruolo di Kiki e della dottoressa Grace Kate Winslet), Britain Dalton, Bailey Bass, Jamie Flatters, Trinity Bliss, Filip Geljo, Duane Evans Jr. e CJ Jones.