Avengers: Endgame – recensione del film Marvel
Penultimo tassello del terzo ciclo del MCU, Avengers Endgame è perfettamente equilibrato tra epica e intimismo. Qui la recensione.
Ogni saga ha la sua conclusione, ogni eroe le sue sfide, ogni scelta le sue conseguenze. Arriva al cinema uno dei film più attesi di tutta la Storia: in Italia, con qualche ora di anticipo rispetto agli Stati Uniti, c’è Avengers: Endgame.
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Il 22esimo capitolo del MCU, penultimo tassello del terzo ciclo dell’epopea Avengers, è diretto da due nomi ormai familiari della Casa delle Idee al cinema: Anthony e Joe Russo, già registi di Captain America: The Winter Soldier (2014), Ant-Man (2015), Captain America: Civil War (2016) e Avengers: Infinity War (2018). Con un cast che definirlo corale è quasi riduttivo, Avengers: Endgame è un’esperienza cinematografica totale, in grado di toccare nel profondo una vastissima gamma di sentimenti.
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Avengers: Endgame – una questione di ritmo
Pianeta Terra, anno 2018, subito dopo il dimezzamento della popolazione causato dallo Schiocco di Thanos. I superstiti, ancora sconvolti per l’accaduto, fanno i conti con il loro fallimento e contano i caduti. Disperso nello spazio e in fin di vita, Tony Stark (Robert Downey Jr.) registra un toccante messaggio per la sua Pepper Potts (Gwyneth Paltrow). In compagnia dell’ormai redenta Nebula (Karen Gillan), Iron Man perde gradualmente le sue energie e si rassegna a un destino ineluttabile. Queste scene – oltre a descrivere un quadro desolante e senza speranza – hanno fatto il giro del mondo grazie ai diversi trailer diffusi dalla major. Ogni altro avvenimento, però, rientra in un meccanismo narrativo che non sveleremo, su cui il pubblico può solo avanzare ipotesi con la sola certezza che sarà sorpreso scena dopo scena.
L’MCU chiude una delle più esaltanti saghe cinematografiche di tutti i tempi dosando con maestria gli ingredienti che hanno reso i suoi film così seguiti e amati dai fan. Il team creativo dietro Avengers: Endgame, infatti, ha costruito una storia ben calibrata da ritmi originali, in cui a un inizio riflessivo, intimo e personale, ci si apre verso sviluppi dai toni assolutamente epici.
La durata di ben 181 minuti vola – così come è accaduto in altri film della saga – in un soffio, e il film inchioda lo spettatore alla poltrona con un carisma raro. Anzi, si supera il confine della poltrona e si è trascinati direttamente al centro della scena e, ora più che mai, l’esperienza cinematografica diventa coinvolgente – ai limiti dell’interattività. Ci si troverà a tifare per i propri eroi, a rivalutare figure mai emerse come in questo film, a rinnovare l’esaltazione legata ai valori che gli Avengers storici hanno sempre rappresentato.
Avengers: Endgame, a dispetto di chi definisce i cinecomics come blockbuster di puro intrattenimento, conferma una tendenza diventata tradizione per il pubblico MCU ed educa lo spettatore a tenere alta la concentrazione per un tempo considerevole e ad aspettare la fine dei titoli di coda prima di lasciare la sala.
Avengers: Endgame – pensare al futuro, con uno sguardo per il passato
Al di là della trama, un grande tema affrontato dal film è il rapporto dei personaggi – e in generale, di tutti gli uomini e delle donne – con il passato. La missione, spietata e folle, di Thanos altro non era che una strage asettica e imparziale di un’eccedenza numerica degli esseri viventi presenti nell’Universo. Come spesso accade nei racconti di finzione, si ha a che fare con una versione simbolica ed estremizzata di eventi tragicamente reali. Lo stesso concetto di pulizia etnica, che agisce sui grandi numeri totalmente indifferente al valore del singolo, è un’aberrazione più e più volte vista nella Storia. Thanos, col suo Guanto e con le sue Gemme, incarna il gelo emotivo di ogni dittatore che pianifica stermini macchiandosi la coscienza, ma non le mani.
Di contro, ciò che gli Avengers rappresentano e quello per cui combattono è l’importanza che ogni singolo uomo e ogni singola donna possono avere nel mondo. Ed è per questo che anche quando sacrificare una sola vita avrebbe potuto aumentare la possibilità di salvarne tante altre, questa scelta non è mai stata imposta, ma sempre e solo frutto di una decisione personale. Il senso del sacrificio di sé e non del prossimo è il messaggio ricorrente dell’eroismo rappresentato da Captain America (Chris Evans), Vedova Nera (Scarlett Johansson), Thor (Chris Hemsworth), Iron Man e Hulk (Mark Ruffalo).
Fatta questa premessa, è più semplice capire perché Avengers: Endgame si basa proprio sul non voler accettare la perdita. Se c’è anche solo una possibilità su 14 milioni 960mila per riportare tutti a casa, allora vale la pena tentare. Più volte nel corso del film i personaggi riflettono sull’importanza di andare avanti, di accettare gli errori e di ricostruirsi: una lezione senz’altro importante, ma mai avulsa dall’impegno proteso verso una giustizia universale. Andare avanti sì, dimenticare un genocidio no.
In quest’ottica tutti gli eroi e le eroine presenti nel film seguono una loro personale evoluzione, basata – appunto – sul fare i conti col proprio passato per poter edificare su basi solide un futuro decisamente compromesso. In un modo o in un altro, ognuno dei personaggi troverà la propria strada in una maniera che riesce ad essere allo stesso tempo coerente e sbalorditiva.
I fratelli Russo decantano con una regia fantasiosa ed esperta le gesta di personaggi ormai parte integrante della mitologia contemporanea, reinventando i meccanismi dell’epica classica per disegnare un complesso affresco di Dei che diventano uomini e di donne e uomini divini per scelta, coraggio e tenacia. Come insegnano gli stessi protagonisti, però, ogni grande impresa richiede dei sacrifici e la crescita spesso si basa sulla capacità di lasciar andare qualcuno o qualcosa a cui si tiene davvero tanto. I fan del MCU sono chiamati, dunque, a una grandissima prova di maturità, ma possono affrontare questa sfida con tutti gli strumenti che Cap e gli altri hanno mostrato nel corso degli ultimi 11 anni.