Azizler: recensione del film Netflix dei fratelli Taylan
I fratelli Taylan manipolano a loro piacimento la grammatica filmica per regalarci un film che sa come attraversare lo schermo e parlare allo spettatore.
La solitudine, portata all’estreme conseguenze, è un nemico tanto pericoloso quanto subdolo. Una condizione in cui sono irrimediabilmente immersi i personaggi di Azizler, film del 2021 originale Netflix, diretto, prodotto e sceneggiato dai turchi Yağmur e Durul Taylan.
Disponibile da venerdì 8 gennaio, Azizler conferma il successo dei Fratelli Taylan non solo in patria ma anche oltre confine. Dopo le apprezzate serie tv e il pluripremiato Vavien, Azizler sfrutta ancora il linguaggio della commedia, questa volta amara, per mostrare l’altra faccia della medaglia.
Un nero iniziale, che già sa di confessione, immerge lo spettatore nella storia di Aziz (il noto comico Engin Gunaydın), un uomo di mezza età senza più alcuno stimolo, con una relazione che lo soffoca, un lavoro che lo annoia e una famiglia che lo tiene prigioniero nella sua stessa casa. Ad offrirgli una soluzione, anche se non compresa, è l’amico e collega Erbil (Haluk Bilginer), creduto folle ma con la verità in tasca.
La solitudine che allontana dalla realtà
Due i capitoli di Azizler: Aziz ed Erbil. Due i punti di vista che si intersecano continuamente fino a confondersi l’uno nell’altro. Ma il messaggio è sempre uno e sempre chiaro e viene sintetizzato dalle massime sparse qua e là da Erbil: “La solitudine è dura, Aziz”, “La vita è un attimo. Oggi ci siamo, domani no”, “Non stare troppo solo. Puoi stare solo, ma non troppo”.
Se infatti Aziz vuole più spazio per sé – e lo vuole così tanto da non rendersi conto di cadere in una trappola senza via d’uscita – Erbil, ormai vedovo, sa cosa sta accadendo alla sua vita e alla sua mente da quando non ha più la sua Kamarun (Binnur Kaya) accanto.
E gli effetti dell’isolamento vengono spiattellati, con il linguaggio della dramedy, dai Taylan che creano dei veri e propri tipi umani attraverso cui guardare.
Abbiamo così il piccolo Caner (Göktuğ Yıldırım), nipote di Aziz, che non ha mai avuto contatti con i suoi coetanei, non ha mai frequentato la scuola e, vivendo sempre recluso tra le quattro mura di casa e senza regole, è un sociopatico “idiota”.
Alp (Öner Erkan), il capo di Aziz, pensa solo al profitto, non ha rispetto per la vita altrui, inganna, mente ed è convinto che con i soldi si possa comprare tutto, anche il fantasma di un amico. Cedvet (Fatih Artman), altro collega di Aziz, talmente abituato a vivere solo con sé stesso, non si rende più conto della presenza di chi lo circonda. Una condizione comune che conduce Erbil ad una inevitabile decisione.
I Fratelli Taylan e la lezione di cinema in Azizler
I Fratelli Taylan, con Azizler, dimostrano di aver imparato la lezione di cinema. Dopo aver messo da parte gli studi universitari, uno di Ingegneria e l’altro di Medicina, hanno capito come manipolare a loro piacimento la grammatica filmica.
Ad accogliere lo spettatore abbiamo infatti un MacGuffin di hitchcockiana memoria. Una collana che innesca il racconto senza accentrarlo ma dandogli una conclusione inaspettata. Ad essere l’inconsapevole vittima del suo “mistero” sarà la fidanzata di Aziz, Burcu (İrem Sak).
E ancora sono le soggettive, gli sguardi in macchina di Aziz ed Erbil, a comunicare che sì, i registi stanno parlando proprio a te, che stai al di là dello schermo. Ed è nelle soggettive che vengono condensati i messaggi più importanti, quelli su cui focalizzare l’attenzione.
Semplici ma efficaci anche gli effetti visivi e la fotografia che localizzano il racconto mescolando il presente e il passato della Turchia.