Babygirl: recensione del film di Halina Reijn da Venezia 81
Babygirl è il film in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia81 diretto da Halina Reijn con Nicole Kidman, Antonio Banderas e Harris Dickinson.
Il cinema erotico, il “sentimento” sessuale sono una condizione primigenia tra estetica e una surreale pretesa emotiva e il pornografico diventa analisi esplicita di filmografie confuse e ordinarie. Babygirl diretto da Halina Reijn, presentato in Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 81, è tutto questo: perdita di eleganza fisica e opportunità deformata di uno strumento culturale, volgarizzato!
Babygirl: vizi, noia, attrazione, agiatezza
Babygirl è una storia la cui prospettiva intreccia tre personaggi: lei, lui, l’altro. La classica triade che risente di un’egemonia cinematografica commediale che mette in atto dinamiche consuetudinarie tra il sesso e il potere, l’attrazione verso l’altro o se stesso.
La prima prospettiva è quella del marito (Antonio Banderas), attratto della donna che gli sta accanto, madre dei suoi figli, donna di grande presenza, perfetta un uomo mediocre, un poveretto che non sa fino a che punto crederci o non crederci. La risposta è nella dimensione contemporanea di una famiglia agiata, una famiglia di bellissimi dove il tradimento (il cliché) sembra essere l’unica immagine contrastante consentita nella dimensione superficiale di un definito stile estetico.
Seconda prospettiva: L’altro, il ragazzo che non ha legami e nulla da perdere.Elementi “ordinari” che appartengono ad un flusso erotico fin troppo editoriale e mirato: peccato, colpa e seduzione. Tre dimensioni nebulose, che aggrediscono una fastidiosa quotidianità.
Terza prospettiva: lei (Nicole Kidman), bella, intelligente, potente, frustrata: frustrata da se stessa, dallo scorrere irrimediabile del tempo; persa in un matrimonio artificiale ma giusto, conveniente. Arresa alla sua stessa ambizione che la rende una preda e avvoltoio costantemente a caccia.
Il primo piano di Nicole Kidman, vent’anni dopo
Sono passati vent’anni da Eyes Wide Shout; eppure, la sequenza appare paradossalmente simile. Un’ossessione per ibernare la bellezza nel timore inconscio che con l’età svanisca. Nulla di nuovo! La dinamica non sorprende affatto! Tutto così estremamente conformato ad un cinema situazionale prevedibile. Babygirl è dipendenza dall’uomo, il mantenimento di una confezione fisica e il traguardo lavorativo. Elementi che non rimandano ad alcuna lettura approfondita ma lasciano in superficie la realtà dei fatti.
Babygirl: conclusione e valutazione
Babygirl è un film che implode negli stereotipi del mondo contemporaneo, dietro le grandi vetrate dei piani alti, in città assordanti che aiutano con la scenografia a temperare l’estetica di un thriller fotogenico. Babygirl è tutto fotografia, l’immagine di un prodotto hollywoodiano: passati i primi 60 minuti, il rapporto sessuale diventa il centro di una narrativa che annaspa e arranca nel tentativo di abbozzare il concetto di fallimento, la delusione che prevale sul sentimento del sesso stesso, il bisogno appagante della trasgressione che esaudisce il bisogno di potere. Babygirl è una questione di potere che depotenzia i suoi stessi protagonisti, quanto meno non sostiene la sceneggiatura originaria fragile e dalle poche quanto ostili comparse.
Babygirl non riesce a ingentilire la trama, l’aspettativa decade lentamente nella banalità forse voluta e resa tale da una Nicole Kidman (a questo punto diremmo magistralmente) che interpreta con il suo personaggio la propria vulnerabilità all’interno di giochi di potere dentro i quali si agitano i conflitti interiori di una donna che si rapporta con una realtà fatta di apparenza.
Babygirl è il film diretto da Halina Reijn, interpretato da Nicole Kidman, Harris Dickinson e Antonio Banderas. Presentato in Concorso alla Mostra del Cinema Venezia 81.