RomaFF14 – Bar Giuseppe: recensione del film di Giulio Base
La natività è il fulcro di Bar Giuseppe, film scritto e diretto da Giulio Base che non riesce a trovare la giusta struttura nonostante l'idea interessante.
La natività è un tema che non smetterà mai di affascinare. Dopo lo spirito materno de Il vizio della speranza, che lo scorso anno vinse il premio del pubblico alla Festa del Cinema di Roma riportando la storia di una Maria, invischiata nella criminalità campana, decisa a fuggire con il proprio pargolo in grembo, alla sua 14esima edizione l’evento presenta nella sezione Riflessi il mistero più arcano, la nascita discussa di una donna vergine che mise al mondo il figlio di Dio.
Riadattandone la forma, stampandola sulla contemporaneità che delinea la figura degli esiliati di ieri come i migranti di oggi, Bar Giuseppe cerca di bilanciare il proprio racconto sfruttandone il potenziale mistico, inesplicabile, le domande intorno a un evento evangelico riproposto nella realtà, in cui è l’uomo accanto alla vergine a risaltare. Mite, affidabile, lavoratore instancabile dall’onestà intrinseca e dalla fedeltà nel sangue. Un padre, punto di riferimento per una comunità di esclusi e profughi. Emblema che si estende a un circolo cittadino ristretto di unione e rispetto per coloro che stanno cercando un nuovo posto nel mondo.
Bar Giuseppe – Dal Vangelo all’attualità
Il vedovo Giuseppe (Ivano Marescotti) è, infatti, cuore del bar della stazione di servizio di un paesino pugliese, rimasto quasi congelato nel tempo, se non fosse per la grande migrazione di individui e famiglie scappate dai terrori di un’altra terra. Un’attività di cui l’uomo non può più occuparsi da solo, dopo la sofferta morte della moglie e la totale avversione dei suoi figli. È così che Giuseppe assumerà Bakira (Virginia Diop), orfana rifugiata scappata dalla città di origine e presto interessata sentimentalmente all’anziano. Un amore in cui risiede un anelito spirituale, non spinto dalla passione o dall’impeto, ma da un’intimità dall’animo più sacro.
Gesù veniva al mondo per portare pace tra i popoli. Così raccontano le scritture, così la figura di un figlio, nato dal padre celeste e una donna nubile, è diventata simbolo di una religione che ha promulgato i suoi dettami per la comprensione e la condivisione in tutto il mondo. Gesù era figlio di immigrati, di persone fuggite dal loro luogo di nascita, costrette ad assistere al miracolo della vita dentro ad una mangiatoia. Che l’associazione effettuata da Giulio Base, alla regia e sceneggiatura di Bar Giuseppe, abbia una propria attinenza con un’attualità alla quale il film vuol rifarsi è certamente indubbio, ma sembra non esserlo altrettanto il modo con cui il cineasta ha voglia di riportarla.
Dai buoni propositi che vengono posti fin dall’inizio, è proprio superata la sua prima parte che Bar Giuseppe comincia a peccare, troppo impegnato a ricercare una narrazione per la propria idea che sembra rimanere priva di una vera e propria spina dorsale, sperando di compensare la sceneggiatura con la presunta poeticità dei suoi silenzi e delle sue atmosfere. Perdendosi dunque nelle sue stesse elucubrazione, il film depotenzia l’intuizione accesasi nell’autore, che deraglia completamente giungendo a fatica fin al proprio fulcro, quando oramai è il disinteresse dello spettatore ad aver acquisito il sopravvento.
Bar Giuseppe – Quando bisogna ancora attendere per l’arrivo del Messia
Un riscontro che l’opera si ritrova a dover affrontare anche al livello della regia, che azzarda con dettagli particolari e tagli dell’immagine che mostrano l’impegno per rendere il proprio film un’esperienza cinematografica piena, ma che la scrittura del film fa sprofondare, non concedendogli di evolversi interamente. Solo Giuseppe, dell’attore Ivano Marescotti, esce indenne dalla propria storia, con un’interpretazione quieta e circoscritta alla sensibilità di un personaggio taciturno, che troppo distacco mostra con la debuttante Virginia Diop, fuori parte nonostante il tentativo di mostrare un’ingenuità che risulta, in verità, soltanto ostentata.
Un film che poteva sfruttare meglio il suo potenziale, se solo avesse dotato la narrazione, di fondamenta più solide.