Barbie: recensione del film di Greta Gerwig

Proprio come l'iconica bambola che porta in scena, Barbie può essere ciò che vuole: un film frivolo quanto impegnato, un manifesto femminista, una commedia, un insulto, persino un film di formazione. In ogni caso, vedetelo al cinema!

Esilarante, irriverente, meravigliosamente critico. Con Barbie Greta Gerwig confeziona non un film, bensì un viaggio all’interno di un mondo in cui realtà e apparenza fanno a botte; un mantra per tutte le generazioni che ambiscono a creare una società che non sia governata dalla becera differenza tra femminismo e patriarcato, quanto dal rispetto reciproco e l’equità.

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Giocando con una serie di rimandi a pellicole iconiche la regista e sceneggiatrice premio Oscar imbastisce un melting pot su celluloide digitale avente lo scopo iniziale di introdurci al mondo di Barbie e alla rivoluzione ludica che ha voluto rappresentare. La Barbie di Margot Robbie che ci viene mostrata nel film, al cinema dal 20 luglio 2023 con Warner Bros. Pictures, è statuaria, bellissima e perfetta: uno stereotipo che si adagia esteticamente sulle ali della perfezione e sul modello della donna in grado di poter essere ciò che desidera, senza tuttavia mai distaccarsi dai desideri dell’uomo.
Barbie Land, l’isola rosa in cui vivono tutte le bambole della Mattel, è un luogo socialmente sbilanciato e incantato nel quale la perfezione risulta schiacciante, al punto che la maschera della protagonista si incrina sotto il peso delle domande esistenziali: l’idea della morte le mette a terra i talloni, le provoca ansia, paura e inadeguatezza e d’un tratto quella figurina dalla silhouette snella e il sorriso smagliante inizia ad accorgersi della brutalità entusiasmante della vita vera. Si è aperta una crepa in quel suo mondo, c’è uno strappo in quel cielo di carta ed è dolorosamente bello; riga il volto di lacrime, di una consapevolezza nuova che spinge la protagonista sul precipizio del sublime.
Barbie vorrebbe smettere di vedere, di sapere, di provare emozioni, eppure quel portale tra il mondo reale e quello apparente è ormai aperto e inoltrarvisi equivale a interrogarsi, a soffrire e a cambiare.

Barbieland e il femminismo disarmante e fallace della Mattel

Greta Gerwig, sostenuta in fase di sceneggiatura da Noah Baumbach, elabora una storia di fondazione senza cascarci totalmente dentro, anzi rinvenendo negli anfratti della narrazione quei confini così radicali e patriarcali che fanno inceppare la libertà, sottolineando la scollatura tra rappresentazione e volontà d’esistere. Barbieland è la terra in cui il femminismo tocca livelli disarmanti, l’opposto del mondo reale che non rappresenta, in ogni caso, un mondo giusto. Nell’isola in cui non esiste gravità, in cui si beve e mangia per finta e in cui basta guardare un vestito per indossarlo ogni bambola può essere assolutamente (ma unicamente) una maschera definita e bidimensionale: presidente, scrittrice, giornalista, medico, astronauta e così via. Ogni sogno diventa professione e ogni lavoro delimita i confini della personalità, annichilendo le innumerevoli sfumature dell’essere. 

Barbie è bella, anche quando è distrutta e confusa. Non ha difetti fisici, non ha cellulite né chili di troppo e, essendo asessuata, figuriamoci se subisce le complicazioni ovariche! Il discorso è lapalissiano: la bambola targata Mattel può essere tutto ciò che desidera, purché resti dentro la scatola e accontenti lo stereotipo maschilista che l’ha fatta amare (anche idolatrare) e poi odiare.

Tacco 12 o una comoda Birkenstock? È questo il dilemma nel film con Margot Robbie e Ryan Gosling

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Cosa accade però quando inizia a pensare come un’umana? Il film ci dirotta irrimediabilmente verso la realtà, nel complicato rapporto madre-figlia e al cospetto di un manipolo di ragazzine che ha smesso di giocare con le Barbie in tenera età, smascherando quella patina nociva di “fascismo” e ipocrisia.
Una bambola stramba (interpretata da Kate McKinnon) funge da maga, ponendo la protagonista dinnanzi alla drastica scelta: tacco 12 o una comoda Birkenstock? In ogni caso la soluzione è andare via, prendere tutti i mezzi possibili e poi ultimare la corsa sui rollerblade, trovandosi a pattinare sulle strade grigie della California, tra Venice e Los Angeles, in un contesto in cui Barbie si crede un esempio e invece è un oggetto a cui avvinghiarsi con sguardi maschili vogliosi e indiscreti, una donna da insultare e compatire per delle femministe in erba.  

La scrittura brillante della coppia Gerwig – Baumbach sa ironizzare, capovolgere e iperbolizzare i luoghi comuni, prendere in gito quella che comunemente definiamo (o potremmo definire) normalità e lanciarcela contro in tutta la sua irriverenza, col ghigno talvolta sadico, talaltre stupido. Barbie incasella una risata dietro l’altra servendosi soprattutto dell’impeccabile interpretazione di Margot Robbie e Ryan Gosling, che nei panni del suo Ken si mostra irresistibilmente macho, stupido e inutile. Lui esiste, proprio come tutti gli altri Ken, solo in funziona di Barbie: senza lo sguardo della famigerata fanciulla bionda la sua presenza cessa di avere senso e, a sostegno dell’inconsistenza del suo ego, persino la sua professione è nulla: non è un bagnino, non sa andare in acqua né è in grado di soccorrere nessuno, lui è semplicemente “spiaggia”. 

Barbie: un film, due anime

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Barbie ha dalla sua la capacità di trasformarsi continuamente, sfiorando le sponde della commedia romantica, del coming-of-age e del dramma esistenziale. Sa far riflettere senza appesantire, giudicarci senza giustificarci né compatirci. La pellicola segue il ritmo evolutivo della Robbie e, se all’inizio lei è convintamente una Barbie Stereotipo, certa che grazie alla loro missione nel mondo viga l’uguaglianza, andando avanti nella narrazione si rende conto della burla e dell’ipocrisia, a partire dal fatto che nel direttivo della Mattel non c’è neanche una donna. Anche qui, però, Barbie sa preservare la sua supremazia: la vorrebbero ingabbiare, tenere salda alla scatola con dei laccetti ai polsi, ma lei scappa via con una facilità disarmante, in un inseguimento che sa molto di Fast and Furious.

In questo marasma di rimandi cinematografici è bene sottolineare la bravura di un cast che non sempre trova spazio per esprimersi. Come era sospettabile, infatti, Margot Robbie domina la scena, seguita da Ryan Gosling. Il resto degli interpreti fa da contorno senza avere modo di snocciolare pienamente la propria tridimensionalità, ma lasciando comunque il segno; dal CEO della Mattel a cui presta il volto Will Ferrell all’Allan di Michael Cera fino all’inimitabile Helen Mirren, voce narrante del lungometraggio.

I siparietti da musical sono tanti e la colonna sonora firmata da Mark Ronson e Andrew Wyatt accompagna pedissequamente ogni scena deliziandoci con brani firmati da autori come Billie Eilish, Dua Lipa, Nicki Minaj, Ice Spice, Sam Smith KAROL G, Lizzo, Charli XCX, PinkPantheress, Ava Max, Dominic Fike, KHALID, The Kid LAROI, Tame Impala, HAIM, Gayle e FIFTY FIFTY feat Kali. Una soundtrack che trasuda leggerezza, insinuandosi egregiamente sullo stile grafico di una pellicola che vanta costumi pazzeschi (opera di Jacqueline Durran) e chiaramente mai lasciati al caso: i vestiti di Barbie, tuttavia, ne precedono quasi la fama e conferiscono all’intero lungometraggio quel tocco di stile necessario e atteso.

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Con la fotografia da cartolina di Rodrigo Prieto, Barbie si incammina dall’idealizzazione alla realtà forse nell’unico modo possibile, ovvero oscillando tra patriarcato e femminismo, sottolineando le differenze tra generi, mostrando semplicemente il nostro mondo, ma rovesciato! Quello che subiscono gli uomini nella finzione, lo sopportano (o hanno sopportato) le donne nella vita vera.
Alla luce di questo non è un film che dà soluzioni, non è neanche un’opera che critica troppo, poiché sul fondo resta sempre un po’ buonista, trattenuta, politicamente corretta. Potremmo invece dire che Barbie, proprio per la sua iniziale premessa di farsi storia di fondazione, racconta l’evoluzione della bambola più famosa del mondo, assorbendo le idee più disparate che negli anni l’hanno vista al centro di plausi o polemiche, rovesciandole sul grande schermo con un’ironia tale da risultare irresistibile.

Barbie: valutazione e conclusione

Barbie prime reazioni -Cinematographe.it

In fin dei conti, Barbie è un film per tutti ma che forse non tutti possono capire e apprezzare e ciò dipende dal modo di pensare, dal genere di appartenenza, dalla percezione che si ha della società e del proprio posto nel mondo e, certo, anche dall’età.
Non è un capolavoro, ma un film carico di carisma e stile che, servendosi di colori accesi, interpretazioni impeccabili e un comparto tecnico sopra le righe (oltre ai già citati, è d’obbligo citare la scenografa Sarah Greenwood, il supervisore agli effetti visivi Glen Pratt, il supervisore musicale George Drakoulias), intrattiene alla perfezione, suscitando semplici risate o, se sarete così acuti e ben predisposti, ottime critiche e infiammati dibattiti.

Proprio come l’iconica bambola che porta in scena, Barbie può essere ciò che vuole: un film frivolo quanto impegnato, un manifesto femminista, una commedia, un insulto, persino un film di formazione. In ogni caso, vedetelo al cinema!

Barbie, che vede nel cast anche America Ferrera, Issa Rae, Rhea Perlman, Ariana Greenblatt, Ana Cruz Kayne, Emma Mackey, Hari Nef, Alexandra Shipp, Kingsley Ben-Adir, Simu Liu, Ncuti Gatwa, Scott Evans, Jamie Demetriou, Connor Swindells, Sharon Rooney, Nicola Coughlan, Ritu Arya e Dua Lipa, è nelle sale dal 20 luglio 2023 distribuito da Warner Bros. Pictures e prodotto da Heyday Films, LuckyChap Entertainment, NB/GG Pictures, Mattel.
Il film è prodotto da David Heyman, Margot Robbie, Tom Ackerley e Robbie Brenner con Gerwig, Baumbach, Ynon Kreiz, Richard Dickson, Michael Sharp, Josey McNamara, Courtenay Valenti, Toby Emmerich e Cate Adams nel ruolo di produttori esecutivi.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8