Barton Fink – È successo a Hollywood: recensione
Al loro quarto film da registi, Joel ed Ethan Coen centrano con Barton Fink – È successo a Hollywood una delle loro pellicole migliori, che funge da rampa di lancio alla carriera dei fratelli più famosi del cinema contemporaneo. Presentata al Festival di Cannes del 1991, la pellicola ottiene infatti un clamoroso successo, vedendosi assegnare dalla giuria presieduta da Roman Polanski la prestigiosa Palma d’oro per il miglior film, il premio per la migliore regia e quello riservato al migliore attore, assegnato a John Turturro. Proprio quest’ultimo, vero e proprio attore feticcio per i Coen, offre una delle performance più riuscite della sua memorabile carriera, dando il volto a tutti ai tic, alle paure e all’inquietudine del protagonista. Fra i personaggi secondari, doveroso citare le prove di altri due formidabili attori come John Goodman e Steve Buscemi, che 7 anni dopo si riuniranno ai Coen e a John Turturro nello straordinario Il grande Lebowski.
Il film è ambientato negli anni ’40 e racconta la storia di Barton Fink (John Turturro), uno sceneggiatore di Broadway che dopo il grande successo di una sua pièce viene chiamato a compiere il grande salto verso il cinema e la sua capitale, ovvero Hollywood. Il lavoro che gli viene affidato è la sceneggiatura di un B-movie sul wrestling, per cui un intellettuale come Barton Fink si sente sprecato. Per cercare la massima concentrazione, lo scrittore affitta una camera dell’inquietante Earle Hotel, un fatiscente albergo frequentato da strani soggetti, come l’addetto della reception Chet (Steve Buscemi) e il suo vicino di camera Charlie Meadows (John Goodman), un corpulento e chiassoso assicuratore. Barton Fink non trova l’ispirazione e incappa nel classico blocco dello scrittore, che lo porterà a venire coinvolto in una serie di situazioni grottesche e surreali, che lo spingeranno a profonde riflessioni sul mestiere dello scrittore e su se stesso.
Barton Fink – È successo davvero a Hollywood? Una storia grottesca e surreale dalle atmosfere kafkiane
Barton Fink – È successo a Hollywood sfugge a qualsiasi tipo di catalogazione e smentisce continuamente le aspettative dello spettatore, che non può fare altro che lasciarsi totalmente andare alle atmosfere torbide e malsane della pellicola. Inizialmente siamo portati a pensare di essere di fronte a una commedia graffiante tipica dei fratelli Coen, per poi accorgerci che il film è anche una feroce critica al sistema di Hollywood e alla sua mercificazione dell’arte e del talento umano. In men che non si dica però, Barton Fink – È successo a Hollywood cambia nuovamente strada, pescando a piene mani dal classico noir americano, che proprio negli anni ’40 (ricostruiti con precisione maniacale dai Coen) in cui è ambientata la pellicola spadroneggiava nelle sale cinematografiche di tutto il mondo. I Coen sono semplicemente straordinari nel depistarci continuamente, prendendoci per mano e spingendoci a dare importanza ad aspetti e dettagli che invece non si rivelano altro che dei MacGuffin. Con il passare dei minuti infatti cominciamo a mettere insieme i vari pezzi del puzzle, e capiamo che la storia a cui stiamo assistendo non ha radici nella narrazione tradizionale e forse non ha neanche una dimensione terrena. Tanti piccoli indizi come l’atmosfera lugubre e surreale che regna in un albergo che ricorda da vicino l’Overlook Hotel di Shining, l’entrata in scena da una botola del personaggio di Steve Buscemi e i continui riferimenti a una sorta di limbo in cui è intrappolato il protagonista ci portano infatti a pensare che il film sia in realtà una grande allegoria del mestiere dell’artista, e in particolare dello scrittore, con tutti i traumi, le ansie e le crisi esistenziali che ne derivano.
John Turturro è strepitoso nel dare il volto a un personaggio che sembra uscito da un romanzo di Kafka o da un film di Roman Polanski (non a caso presidente della giuria che ha premiato il film a Cannes), imprigionato in una situazione sempre più grottesca e bizzarra e dilaniato dai suoi dilemmi interiori sulla sua arte e sulla sua professione. Non è difficile associare questo personaggio, in crisi di idee e scosso nel profondo per la necessità di mettere la propria arte al servizio della macchina da soldi di Hollywood, con gli stessi fratelli Coen, che proprio durante il loro precedente film Crocevia della morte incapparono in un blocco dello scrittore analogo a quello del protagonista di Barton Fink – È successo a Hollywood. Completano il quadro i pittoreschi personaggi secondari, su tutti quello interpretato da John Goodman, che celano tutti un proprio lato oscuro lontano dalla loro apparenza e che i Coen utilizzano per mettere in luce le contraddizioni e il marciume dell’industria cinematografica. Domina su tutto il proverbiale sarcasmo di Joel ed Ethan Coen, che si distinguono come al solito anche per una fotografia curata nei minimi dettagli e per una regia asciutta e precisa, che enfatizza gli innumerevoli simbolismi della pellicola ed è perfettamente integrata con le ottime musiche di Carter Burwell, fido collaboratore dei registi.
Meno conosciuto e ricordato rispetto ad altre pellicole dei Coen, Barton Fink – È successo a Hollywood è un film da riscoprire e rivalutare, che ci regala un ritratto cinico e disincantato di Hollywood e dell’industria cinematografica, lasciandoci turbati nell’animo e con molti più dubbi che risposte, scaturiti da una storia sospesa fra realtà e immaginazione, vita e morte, creatività e angoscia e salvezza e dannazione.
I fratelli Coen tornano in sala da oggi con Ave, Cesare!, distribuito dalla Universal Pictures.