Batman: Arkham Knight – Il capitolo finale della saga Arkham – recensione
“Danzi mai col diavolo nel pallido plenilunio?”
Per chi ama alla follia il Cavaliere Oscuro e lo adora in ogni sua forma e materializzazione, questa citazione non risulterà affatto nuova… Anzi. Batman è l’eroe per eccellenza, non ha alcun superpotere ma affronta criminali sempre più spietati solo grazie alle proprie capacità fisiche e mentali. Batman e la sua nemesi, Joker, ma anche tutti gli altri villan che sono di forza entrati nell’immaginario collettivo grazie alle sue molteplici rappresentazioni: dal fumetto alla serie TV, dal cinema ai cartoni animati e al videogioco. Batman è molto più che un semplice eroe senza macchia e senza paura. L’appellativo “oscuro” non è riferito al colore della sua tuta, ma a quello della sua anima. Violento ma compassionevole, deve fare i conti col proprio passato tormentato e con il proprio equilibrio mentale, messo sempre più a repentaglio dalle mostruosità che deve affrontare notte dopo notte… e con la ferma decisione di non uccidere mai: in uno splendido albo, firmato da Alan Moore, il Cavaliere si incolpa di tutti gli omicidi del Joker: se lo avesse ucciso all’inizio, tutte quelle morti sarebbero state evitate. In un altro albo, The killing Joke, il parallelismo tra Batman e Joker è portato all’estremo, al punto da far chiedere al lettore chi dei due sia quello davvero sano di mente… e allora, qual’è la vera differenza tra i due protagonisti?
Il materiale, insomma, non manca e non è mai mancato. Nel corso dei decenni abbiamo assistito ad ogni genere rappresentazione, più o meno nota (alzi la mano chi conosce lo stupendo fanfilm Batman: Dead End, in cui il nostro combatte contro Predator e Alien… con un pazzesco Andrew Koenig nei panni di Joker). Dai primi abbozzi con The Batman (1943), serie in bianco e nero, siamo passati alla versione scanzonata degli anni ’60 con Adam West, quindi al gotico di Tim Burton, per poi esplodere con l’incredibile trilogia di Nolan (solo per citare alcuni capisaldi). E ognuno di questi capitoli ha contribuito a diffondere, divulgare e far crescere il mito dell’uomo-pipistrello. Ovvio che l’undustria videoludica non potesse esimersi dallo sfornare titoli dedicati al Cavaliere Oscuro.
Alcuni abbozzi si hanno avuto già negli anni ’80, con riduzioni poco riuscite dei film di Tim Burton; poi, inaspettatamente, nel 2009 si affaccia il primo capitolo della saga Arkham, e il videogioco dedicato a Batman inizia a fare scuola.
Fin dal primo capitolo, la serie Arkham si dimostra capace di un’immersività senza eguali fino a quel momento. Prendendo il mano il pad si ha la netta sensazione di “essere” Batman, avendo a a disposizione tecniche di combattimento e di risoluzione degli enigmi che fino a quel momento nessuno era stato capace di immaginare.
Dopo Arkham Asylum, ambientato nel celebre manicomio criminale, un nuovo capitolo ci fa affrontare un’intera porzione di città. Con Arkham City, infatti, ci si sposta all’esterno, in un vasto quartiere di Gotham, dove planare tra un palazzo e l’altro sembra la cosa più naturale del mondo; dove personaggi come Due Facce, Pinguino e Catwoman acquistano quella tridimensionalità che ha lasciato a bocca aperta più di un gamer…
Squadra che vince non si cambia? Non sempre: la Warner ha deciso di sviluppare autonomamente un prequiel (Arkham Origins) mentre Rocksteady Studios iniziava già a lavorare sul terzo (e ultimo) capitolo della serie.
Dopo tre anni di attesa, ecco arrivare sulle console di nuova generazione Batman: Arkham Knight. E l’impatto è travolgente.
Il rischio più grande era quello di voler a tutti i costi alzare l’asticella senza avere i numeri per farlo. Ricadere, insomma, nella sindrome da Assassin’s Creed, che dopo otto capitoli continua a riproporre il medesimo gioco con un’ambientazine differente. Il rischio era quello di mettere in mano ai giocatori un sistema di combattimento usato e abusato (ed emulato, come in Shadow of Mordor, non a caso sempre della Warner Bross), una mappa più grande e una storia scialba, per altro priva della penna della DC Paul Dini, che aveva invece seguito le storie dei primi due capitoli.
RockSteady, invece, è stata in grado di confezionare un autentico capolavoro, con novità importanti sia nella trama (il cavaliere di Arkham del titolo è un villan creato ad hoc per il gioco), che nel gameplay: vecchi e nuovi gadget vanno a contruibuire alla varietà del titolo, ma soprattutto l’introduzione della Batmobile, utilizzabile sia come mezzo per spostarti che come tank da combattimento, ha dato quella ventata di novità fondamentale a tenere sveglia l’attenzione del giocatore, senza spaesarlo inventando nuovi gameplay o tradendo la coerenza col passato.
Altro punto fondamentale è la grafica: Gotham City, qui messa a disposizione in una mappa tre volte più grande rispetto al passato, è disegnata in modo sublime con scorci mozzafiato e dettagli al limite del maniacale. Stessa cura è stata data alle animazioni dei personaggi e alle texture dei materiali: la differenza tra il kevlar della tuta, il metallo dei gadget, la stoffa sgualcita del commissario Gordon è quasi palpabile…
E, infine, c’è la storia. Ormai abituati ad avere una commistione tra gaming e cinema, Batman: Arkham Knight ci mette a disposizione una trama degna di Holliwood, e un fattore immersivo incredibile, con cambi di inquadratura, zoom e cinematic usati sapientemente per dare la sensazione di essere davvero dentro un film. Dialoghi e doppiaggio d’eccezione completano il quadro, per analisi introspettive e psicologiche dei personaggi con colpi di scena da far saltare sulla sedia per tutta la sua durata.
Batman: Arkham Knight si completa in una ventina di ore, ma si può tranquillamente giungere alle trenta se si va a caccia di tutti i collezionabili, se si investiga su ogni mistero e se si tenta di risolvere tutte le prove dell’Enigmista. Il tutto è condito da prove di simulazione per aquisire maggior pratica ed esperienza, per potenziare i gadget a disposizione ed diventare sempre di più il Batman.