TFF37 – Beats: recensione del film di Brian Welsh
Tra musica e rave, danza e amicizia: Beats è il film della generazione degli anni Novanta, dei giovani e della loro rivoluzione.
Il bianco e nero, gli anni Novanta, la periferia scozzese. I giovani che non sanno dove andare, che hanno poliziotti dentro casa a fargli da padre e un futuro che si prospetta incerto e scoraggiante. I rave party, i ritmi sostenuti, il ballo scatenato che è tutto ciò che ti rimane della tua indipendenza prima di dover diventare, purtroppo, grande. Poteva essere aggressivo il nuovo film Beats del regista Brian Welsh. Poteva scontrarsi con la realtà drammatica delle cittadine fuori porta, della bassa criminalità dei quartieri abbandonati, creando quell’unione tra i protagonisti di differente ceto sociale per esplicarne i risvolti più strazianti e drammatici.
Eppure, l’opera musicale a metà dei 90s, è l’esatto opposto di ciò che ci si sarebbe aspettato. Prende quegli elementi tipici di un cinema duro, arrabbiato e bisognoso di urlare per ritrovare il proprio respiro, per tramutarli in soluzioni inattese, in un divertimento inaspettato, non privo certo dell’urgenza atavica degli anni dell’adolescenza, ma centrandoli in una pellicola che sceglie i rapporti affettivi invece che la loro distruzione, che si allinea sempre sul precipizio del possibile pericolo, ma ne fuoriesce più forte e più comprensivo di prima.
Beats – Cosa significa essere giovani negli anni ’90
Sono Johnno e Spanner i protagonisti dell’opera Beats. Gli attori Cristian Ortega e Lorn Macdonald che non solo apportano i caratteri e le congiunzioni nelle differenze dei personaggi, ma danno loro corpo attraverso l’utilizzo impeccabile della loro fisionomia, così adatta alla storia sceneggiata dal regista Welsh insieme a Kieran Hurley, autore dell’omonima pièce teatrale da cui prende vita il soggetto. Perché è impossibile parlare di autodeterminazione senza mettere in primo piano i corpi, sciolti dalle note battenti su cui si dimenano cercando il proprio spazio e trovandolo a volte nello sciogliersi, toccarsi, stringersi gli uni negli abbracci degli altri.
Protagonisti ideali, dunque, per il loro aspetto, al cui contributo va aggiungendosi il compartimento di design e costumi di Victor Molero e Carole K. Millar, gli interpreti vivono la notte della loro giovinezza preparandosi a partecipare al primo rave a cui abbiano mai messo piede e scegliendo di farlo come addio a quella loro amicizia, almeno a come l’avevano conosciuta fino a quel momento. Un atto rivoluzionario contro le ristrettezze di un governo che vuole i suoi cittadini ingabbiati nelle loro comode e imperturbabili esistenze, tentandoli con la calma degli animi e tenendoli così oppressi sotto codici e regole morali.
È, infatti, contro il Criminal Justice Act che si rivoltano i giovani del Paese e il party elettronico a cui affluiscono come onde centinaia di persone. La legge che proibisce a gruppi riuniti di ascoltare brani che abbiano un ritmo continuato e ripetuto, atto a cui sarà la polizia a dover badare, per mantenere l’ordine e il silenzio da imporre sugli individui del domani. La corsa alla libertà, all’indipendenza e al poter strappare le corde che li mantengono ancorati alle loro famiglie e alle rispettive condizioni sociali, si fanno in Beats motivi su cui alzare il volume del racconto dei due protagonisti, che non tenta mai la tragicità, ma ricerca insieme ai suoi personaggi quella scarica elettrica che li faccia sentire, forse per la prima volta, vivi.
Beats – Le serate che ti cambiano la vita
Non solo Johnno e Spanner, lo stesso Beats si pone in prospettiva della destinazione finale per esplodere finalmente sulle note cadenzate e pulsanti del rave psichedelico, che trova nell’espressione cinematografica una grandissima affinità con le suggestioni che questi eventi suscitano e che sono a loro volta destinati a suscitare. La mescolanza di colori, di forme, di immagini sovrimposte e richiamanti la catena industriale, entra a far parte del film tramite un montaggio che erompe nell’apice della serata dei protagonisti, aggiungendo colore lì dove fino a quell’istante era mancato, diventando suggestione più che concretezza, come per gli spiriti che si riuniscono all’interno del rave.
La musica come liberazione spinge Beats a una danza sfrenata, che conduce a un delirio di movenze e di forme per un film che avrebbe potuto sputare addosso allo spettatore le ansie e il senso di prigionia di una generazione, ma sceglie invece di farlo entrare ufficialmente in quel circolo di conoscenze e amicizie per condividere insieme brani alla radio, rivolte e guide in macchina spericolate. Che è poi ciò che segna gli anni successivi di tutta una vita.