Beckett: recensione del film Netflix con John David Washington
Dopo avere aperto la 74esima edizione del Locarno Film Festival, l’opera seconda di Ferdinando Cito Filomarino arriva sugli schermi di Netflix a partire dal 13 agosto. Un thriller teso dalle folate action meritevole di attenzione, prodotto da Luca Guadagnino e impreziosito dalle musiche del maestro Ryuichi Sakamoto.
Dallo schermo di una delle arene a cielo aperto più grandi del mondo a quello virtuale della più nota tra le piattaforme streaming disponibili in rete. Il tutto in meno di dieci giorni. Tanti ne sono trascorsi dalla fortunata anteprima di Beckett al Locarno Film Festival, lo scorso 4 agosto, al debutto nel catalogo di Netflix il 13 agosto. L’opera seconda di Ferdinando Cito Filomarino è passata così da una delle proiezioni in presenza più emozionanti e ambite per un cineasta, ossia quella in Piazza Grande come apertura della storica kermesse svizzera, alle case di milioni di utenti sparsi alle diverse latitudini. Insomma, nemmeno il tempo di smaltire la sbornia e l’adrenalina della prima apparizione pubblica che per la pellicola del regista milanese, scritta a quattro mani con Kevin A. Rice sotto l’egida produttiva di Luca Guadagnino, è giunto il momento di arrivare all’attenzione degli abbonati del broadcaster a stelle e strisce. Ma del resto è ormai prassi comune per gran parte dei film targati Netflix concedersi una fugace parentesi in sala o festivaliera prima di approdare nel catalogo.
Beckett mescola il cinema politico alla Costa Gavras con il thriller alla Alan Pakula
Per Filomarino si è trattato dunque di un passaggio obbligato, ma che siamo sicuri darà non poche soddisfazioni a un film assolutamente meritevole di attenzioni, le stesse che si aveva attirato su di sé anche il precedente dal titolo Antonia, il pregevole biopic sulla vita della poetessa Antonia Pozzi, premiato con una menzione speciale a Karlovy Vary. Un percorso notevole e ricco di interesse, che qui cerca una nuova strada puntando su una platea più ampia tramite i codici del genere, ma conservando un’impronta decisamente autoriale. Beckett infatti mescola senza soluzione di continuità il cinema politico alla Costa Gavras con il thriller d’oltreoceano alla Alan Pakula, partendo dal classico spunto della persona sbagliata nel posto sbagliato per cucire insieme i fili intricati di una caccia all’uomo al cardiopalma. Preda designata uno sfortunato turista americano che, dopo un evento traumatico, viene braccato da misteriosi individui legati alle forze dell’ordine e costretto a una corsa contro il tempo in un Paese scosso dai moti sociali e da cospirazioni politiche. Quel Paese è la Grecia, da prima immersa in una cornice impervia e selvaggia di scogliere, boschi e lande rocciose, poi di strade, palazzi e vicoli di una metropoli come Atene, messa a ferro e fuoco da tumulti, contestazioni e rivolte di massa.
Beckett è un “valzer” di eventi che si alimentano con i meccanismi del mistery e si dinamizzano con sequenze d’azione efficaci
In questi due scenari così antitetici ma ugualmente ostili si consuma la lotta per la sopravvivenza di un uomo che suo malgrado si ritrova al centro di un intrigo governativo dove la posta in gioco è molto alta. Quanto basta per renderlo un testimone scomodo da eliminare, perché ha ascoltato e visto qualcosa del quale nessuno avrebbe dovuto venire a conoscenza. A quel punto diventa una preda chiamata a difendersi da chiunque, anche da chi avrebbe dovuto aiutarlo. Il protagonista, interpretato dal figlio d’arte e attore del momento grazie al nolaniano Tenet, John David Washington, si trova catapultato dall’idillio amoroso dei primi minuti all’odissea dei restanti novanta e passa. Niente che i canoni e gli stilemi del filone di riferimento, che richiamano tanto Caccia sadica quanto Intrigo internazionale, abbiano già raccontato e mostrato. Tuttavia Beckett trova una via personale e ben congegnata per coinvolgere lo spettatore. Lo fa attraverso un “valzer” di eventi che si alimentano con i meccanismi del mistery e si dinamizzano con sequenze d’azione efficaci nella loro chirurgica essenzialità non caotica, a cominciare dal corpo a corpo nel treno per finire con la sparatoria sul tetto del garage che precede epilogo.
Il disegno dei personaggi secondari è la nota stonata di una buona orchestrazione, impreziosita dalle musiche di Ryuichi Sakamoto
Il regista milanese confezione un thriller teso come una corda di violino, che riesce a tenere a sé l’attenzione dello spettatore con un sali e scendi di tensione ben calibrato, la cui temperatura é scandita in maniera impeccabile dalle note magnetiche della colonna di sonora di mister Ryuichi Sakamoto. Un nome e una garanzia quello del maestro nipponico, alla pari di quello dell’attore protagonista, scelto per incarnare una figura archetipica che cerca di riportare a casa la pelle sana e salva sfuggendo da un incubo ad occhi aperti. Unica nota stonata da segnalare in un’orchestrazione complessivamente ben eseguita è il disegno dei personaggi secondari. Questi, a differenza del principale, sono appena abbozzati e costruiti per essere messi al servizio della trama, come pedine da sacrificare in una partita a scacchi, quella che il regista ha deciso di giocare con lo spettatore di turno. Un gran peccato vedere attrici del calibro e della bravura di Alicia Vikander e Vicky Krieps non essere messe nelle condizioni di mostrare ulteriormente le rispettive qualità recitative.