Bella e perduta: recensione del docu-film di Pietro Marcello
Bella e perduta: Pietro Marcello ci guida in un viaggio in quella Italia Bella e Perduta che ormai tutti conosciamo
A sentir pronunciare il nome di Pulcinella, ai più, torneranno alla mente i lunghi pomeriggi d’estate trascorsi col naso all’insù e lo sguardo perso tra le mani dei burattinai foderate dai costumi di personaggi rubati alla Commedia dell’arte. Variante meridionale dell’Arlecchino Goldoniano, la maschera di Pulcinella riveste, all’interno delle commedie, il ruolo di Servo Sciocco senza il quale i Giovani non riuscirebbero a realizzare i propri desideri eternamente ostacolati dalla figura dei Vecchi. Eppure sono attestate tracce della sua esistenza in tempi che sono molto più antichi di quanto si possa immaginare: a Tarquinia è stato rinvenuta una decorazione funebre etrusca sulla cosiddetta “thomba del Pulcinella” , risalente al VI secolo a.C., che lo ritrae nelle arcaiche vesti di tramite tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Un Pulcinella Psicopompo, servo costretto ad obbedire, senza neanche sapere il perché, a una volontà a lui superiore.
Ma perché abbiamo citato Pulcinella? Poiché è esattamente la figura di cui Pietro Marcello (La bocca del lupo) si serve per il suo ultimo docu-film Bella e perduta. È a lui che viene affidata la sorte di Sarchiapone, un bufalotto (con la voce di Elio Germano) destinato alla morte solo perché impossibilitato a produrre latte e inutile alla causa della fecondazione per la quale viene preferita la più sicura inseminazione artificiale. Uno dei tanti che, nella triste realtà, viene abbandonato a se stesso con le zampe legate ad attendere l’inesorabilità e che, fino ad un paio d’anni fa, poteva riporre le ultime speranze di sopravvivenza in Tommaso Cestrone: il volontario che si era posto come obiettivo quello di salvare la favolosa Reggia di Carditello (nel casertano) dal menefreghismo del governo, dalle barbarie di camorra e teppistelli che avevano trasformato un patrimonio culturale del nostro Paese in un luogo allo scatafascio più totale, famoso per le discariche che la circondano.
Il progetto iniziale del regista casertano era quello di inserire questa storia nel film solo come una tappa di un viaggio in quella Italia Bella e Perduta che ormai tutti conosciamo.
E così sarebbe stato se, il giorno di Natale del 2013, Tommaso non fosse morto, portando via con sé le speranze riposte nell’Angelo di Carditello, un uomo dal cuore grande e che amava gli animali. Ne è seguito uno stravolgimento della sceneggiatura di Maurizio Braucci che, continuando sulla falsa riga favoleggiante, gli ha affibbiato il ruolo fondamentale di mittente di un desiderio salvifico ma che, si sa, non potrà essere esaudito. Tommaso diventa in questo modo il polo negativo di una pila che vede Sarchiapone sul versante opposto, entrambi immersi fino al collo nel litio di un uomo con la gobba, vestito del bianco candore nel quale si usava avvolgere i defunti e col volto nascosto dalla sua proverbiale maschera dannatamente simile a quella che nascondeva la vista del loro viso tumefatto. Un Pulcinella che non è morto, ma sicuramente neanche vivo. Un uomo che nella realtà si chiama Sergio Vitolo e di mestiere fa il fabbro, un uomo normale che si è ritrovato catapultato sugli schermi di Locarno, protagonista di una pellicola che il festival di Toronto ha chiesto di poter proiettare e che aprirà il prossimo festival di Torino.
Non ci chiedete di etichettare questa pellicola che è favola ma anche denuncia, è un documentario con una sceneggiatura che ha la particolarità di non far mai entrare in conflitto le sue varie sfaccettature rinchiuse in un formato 16 mm che adesso sta a tutti così stretto ma che dona una fotografia fuori dal nostro tempo.