Bif&st 2021 – Bentornato papà: recensione del film di e con Domenico Fortunato
L'amore e la famiglia al tempo della malattia. Bentornato papà, di e con Domenico Fortunato, cerca l'equilibrio tra dolore e rinascita. In anteprima nazionale al Bif&st 2021, in sala in Italia dal 7 ottobre 2021.
Non risparmia sull’emozione, Bentornato papà, film di e con Domenico Fortunato presentato al Bif&st 2021 (Bari International Film Festival) e in uscita nelle sale italiane a partire dal 7 ottobre 2021. Distribuisce Altre Storie. Dramma di notevole intensità, cinema del dolore e della malattia, ma solo a un occhio disattento e superficiale. Anche, soprattutto, cinema dell’amore e del sentimento. Quello che conta, qui, è raccontare della forza incrollabile di uomini e donne sottoposti alla prova più dura, e della lotta che ne deriva per dare vita e respiro a un nuovo equilibrio. Cinema della famiglia.
Una famiglia stretta tra amore e malattia in Bentornato papà
Apprezzabile, di Bentornato papà, la franchezza e la rapidità con cui lo spettatore è accompagnato dentro il racconto. Non c’è tempo da perdere, in effetti. Questo tipo di saggezza ha molto a che fare con il materiale emotivo del film, per giocare con un titolo passato ugualmente al Bif&st 2021. L’amore, spesso, gioca a non capirsi con il tempo. La storia è quella di Franco (Domenico Fortunato). Diviso tra casa e lavoro, Roma e la Puglia, ha un rapporto saltellante con il figlio Andrea (Riccardo Mandolini), che studia all’università ma ha le sue inquietudini. Fa da contrappunto, questo legame pure fortissimo, a quello più rilassato con l’altra figlia, Alessandra (Giuliana Simeone), che studia per diventare maestra. Franco vuole molto bene al fratello Silvano (Giorgio Colangeli). C’è anche la moglie Angela (Donatella Finocchiaro), un po’ apprensiva e con tanti bei progetti per il futuro. Il futuro.
Il futuro è una spia rossa accesa al margine dell’inquadratura. Franco è sull’orlo di una crisi particolarmente grave. Un brutto male che mette a soqquadro l’esistenza di tutti, e obbliga a ridiscutere progetti e priorità. Chiaro che uno dei temi fondamentali del film, a livello esistenziale, sia l’estrema precarietà delle promesse e delle speranze per il futuro. Ogni personaggio ha modo di dire, a più riprese, domani farò, domani sarò. Domani arriva, non è questo il punto, ma è diverso da come uno se lo immagina. Guardandolo da qui, Bentornato papà è decisamente contemporaneo.
Franco è immobilizzato in un letto d’ospedale, vicino al collega di sventura Giovanni (Dino Abbrescia), a sua volta assistito da Claudia (Silvia Mazzieri). La malattia è l’occasione (infausta) per fare il punto della situazione, chiarire l’inespresso e tentare un nuovo aggiustamento, sentimentale e pratico. Sarà davvero possibile? Forse l’importante, per i protagonisti, non è trovare una risposta a questa domanda. Ciò che conta è piuttosto il modo con cui la famiglia, imperfettamente unita, affronta la questione della domanda e della risposta.
Un film pieno di dolore, ma caloroso
Bentornato papà film caldo, si concede un sapore calorosamente “meridionale”. Tenerezza e devozione nel discorso familiare, gusto viscerale e appassionato per la vita, che si fa strada anche al culmine del dolore più nero. C’è il fascino degli sfondi pugliesi, Martina Franca, la parentesi di un amore, persino un accenno di spiritualità che risalta per la sincerità dell’offerta. Una scelta coraggiosa, circoscritta nella brevità di una scena, pure molto intensa. In quel momento si ha la tentazione di intravedere, magari esagerando, il riflesso di un rapporto con l’elemento religioso più profondo e sentito dello standard.
Se per i protagonisti è questione di importanza suprema raggiungere un equilibrio di vita soddisfacente dopo una rottura così drastica come quella prodotta dalla malattia, ancor più importante è la necessità di una quadratura per il racconto. Tra dolore e apertura alla vita, qui sta il cuore del film e qui sta il senso della scommessa. Il bilancio è soddisfacente.
Bentornato papà tiene a bada il pietismo e la lacrima facile, non cede al sentimentalismo. La morale della favola è tutt’altro che originale, ma sentita. Interessante l’idea di affidarsi all’imprevisto della malattia per “spezzare”, letteralmente, la narrazione. Snodi narrativi che si esauriscono con la stessa effimera rapidità con cui sbocciano, per illuminare l’idea della vita “in movimento”. Un modo intelligente di giocare con le aspettative dello spettatore. Forse alcuni passaggi potevano essere meglio rifiniti.