Cannes 2021 – Sull’isola di Bergman: recensione del film di Mia Hansen-Løve
Con Bergman Island Mia Hansen-Løve sembra portare avanti una delicata operazione di auto-analisi in cui è difficile non intravedere l'influenza e l'ombra del suo legame con Olivier Assayas e con la quale la regista utilizza il pretesto di un mostro sacro per parlare della funzione del cinema in generale.
Mia Hansen-Løve porta In Concorso a Cannes 2021 il suo primo film realizzato in lingua inglese omaggiando uno dei maggiori esponenti della storia del cinema Ingmar Bergman. Lungi dal profanare in alcun modo il peso artistico del cineasta, Sull’isola di Bergman (Bergman Island) si rivela, fin dalle prime scene, un delicato percorso di introspezione attraverso i lati più nascosti di un equilibrio di coppia, in cui la poetica del regista funge solo da filo conduttore per creare un racconto sulla magia dell’ispirazione.
Sull’isola di Bergman vede protagonisti Tony (Tim Roth) e Chris (Vicky Krieps), una coppia formata rispettivamente da un regista di successo e una sceneggiatrice insicura, in pellegrinaggio verso l’isola di Fårö, residenza di Ingmar Bergman, per presenziare ad eventi professionali e portare a termine le rispettive opere. Qui, la coppia si ritroverà al cospetto dei luoghi, per contrasto sprizzanti di serenità e armonia, che hanno ispirato le opere più cupe del regista, ponendosi inevitabili domande sulla vera origine e significato dell’ispirazione, finendo per sovrapporre la propria vita privata alla finzione cinematografica.
Bergman Island: l’isola dei sentimenti inconfessati
Mia Hansen-Løve confeziona un vero e proprio gioiello, sovrapponendo il flusso della riflessione sul reale al piano della finzione, sottolineando come le opere degli artisti, in primis Ingmar Bergman, siano il frutto di sentimenti che vanno molto al di là dell’influenza del contesto esplicito in cui vengono create. Tony ha un’indole decisamente più pragmatica e apparentemente sicura di sé rispetto a Chris, che soffre della scarsa capacità del marito di sintonizzarsi con i suoi dubbi e insicurezze. Fin dall’arrivo sull’isola, in cui viene loro assegnata per la notte la camera in cui Bergman girò Scene da un matrimonio (“il film che fece divorziare migliaia di coppie“, commenta sarcastico Tony) la coppia si ritrova a subìre l’influenza di quell’ambiente per innescare una serie di riflessioni sul divario fra uomo e artista, in una sorta di subdolo e mai esplicitato travaglio interiore che finisce per rivelare come entrambi nascondano dei (legittimi) segreti al partner, sublimabili solo nelle proprie opere, gelose e catartiche custodi degli aspetti più intimi del proprio mondo interiore.
La crisi più profonda colpisce Chris, che non riesce a trovare un finale per la sua nuova sceneggiatura. Appesantita dalla nostalgia nei confronti della figlioletta, rimasta a casa, e confusa per il mancato timore reverenziale che l’ambiente in cui si trova – ormai ridotto a una sorta di parco tematico – le suscita, la donna comincia ad esplorare l’isola in modo istintivo e sensoriale, allontanandosi progressivamente dall’approccio più “turistico” del marito e scoprendolo sempre più distante dal proprio mondo interiore, per lui quasi completamente inaccessibile.
Il film nel film
Chris tenta un’ulteriore carta per sintonizzarsi con Tony raccontandogli la sua sceneggiatura, con l’obiettivo esplicito di farsi aiutare a ultimarla e quello implicito, ben più essenziale, di fargli capire quello che sente. Ha inizio così un film nel film, in cui Chris assume le sembianze della fragile Amy (Mia Wasikowska), una donna – con a casa un compagno e un figlio – che si trova a Fårö in occasione del matrimonio di un’amica, dove incontra il grande amore perduto della sua adolescenza, Joseph (Anders Danielsen Lie, già visto a Cannes 2021 nel bellissimo The Worst Person in The World di Joachim Trier), anche lui ormai impegnato in un’altra relazione. Il sentimento e la tensione erotica fra i due non si sono mai estinti, e i tre giorni sull’isola diventano così una nostalgica occasione di ripercorrere quell’attimo perduto, consapevoli che nulla potrà mai più essere come prima.
Sull’isola di Bergman: l’arte come preziosa dispensatrice di risposte
Con Sull’isola di Bergman Mia Hansen-Løve sembra portare avanti una delicata operazione di auto-analisi in cui è difficile non intravedere l’influenza e l’ombra del suo legame con Olivier Assayas e con la quale la regista utilizza il pretesto di un mostro sacro per parlare della funzione del cinema in generale, un rifugio in cui grandi artisti come Bergman hanno trovato modo di dare voce alle parti più private del proprio sentire, trovando, o perlomeno cercando, quelle risposte che la vita reale non sempre è in grado di garantire. Rivelando, inoltre, come i fantasmi, artistici o amorosi che siano, possano diventare un pesante fardello di cui liberarsi, abbandonando il passato per proiettarsi verso un futuro a volte più semplice e rassicurante di quanto non si fosse temuto.
Sull’isola di Bergman è in uscita nelle sale cinematografiche italiane dal 7 dicembre 2021, distribuito da Teodora Film.