Black Barbie: recensione del documentario Netflix
Black Barbie illustra come la rappresentazione delle donne nere attraverso la lotta, possa elevare la voce e l'immagine attraverso un giocattolo.
“Odio le bambole”, afferma la sceneggiatrice e regista Lagueria Davis all’inizio del suo documentario d’esordio Black Barbie, entrato nel catalogo Netflix il 19 giugno 2024. Con questa affermazione forte e per certi versi provocatoria – questo film parla proprio di uno dei giochi più amati al mondo – si apre un documentario importante e interessante che spiega nascita e sviluppo di una storia complessa e profonda, quella di Black Barbie appunto, la prima bambola nera creata da Mattel. Black Barbie si divide in tre atti: com’era prima delle Barbie nere, com’era con loro e cosa è cambiato dopo la sua nascita. Nell’atto finale, si torna ai test con le bambole, arruolando la dottoressa Amirah Saafir, professoressa di studi sull’infanzia e sull’adolescenza alla Cal State Fullerton.
Black Barbie: quando creare una bambola può diventare atto rivoluzionario
Per più di quattro decenni, la zia di Lagueria Davis, Beulah Mae Mitchell, ha lavorato alla Mattel, eppure, Davis non era una fan delle bambole, ma è stato impossibile non interessarsi alla questione soprattutto perché Mitchell è una devota collezionista. In apparenza il documentario parla soltanto di ciò che ha generato l’uscita di Black Barbie nel 1980 ma è molto di più. Il primo passo è quello in cui Ruth Handler, cofondatrice dell’azienda e creatrice di Barbie, ha chiesto ai dipendenti se avessero suggerimenti per migliorare Mattel, Mitchell ha risposto: “Vogliamo una Barbie nera”. Mitchell non considera la richiesta un grosso problema, ma in realtà quello è un vero e proprio atto rivoluzionario.
Nel 1976, Mattel assume Kitty Black Perkins, la sua prima stilista nera che disegna la prima Barbie Nera qualche anno dopo, realizzando le aspirazioni di Mitchell e non solo. “Volevo riflettere il look totale di una donna nera. Volevo che [Black Barbie] fosse l’esatto opposto di Barbie e di Christie”, ha detto Perkins. La Barbie nera aveva i capelli afro, le sue labbra erano più carnose, il suo naso era un po’ più largo di quello di Barbie, sfoggiava gioielli più audaci , con un look simile a quello di Diana Ross.
La Mattel ha già prodotto due bambole nere alla fine degli anni ’60, Christie e Francie, il successo della nuova Barbie ispira altre linee di Barbie nere. Nel 1996, Perkins assume Stacey McBride-Irby, che crea e disegna nuove linee. Nel documentario, le tre donne, Mitchell, Perkins e McBride-Irby condividono ricordi, momenti e felicità per tutto ciò che è stato fatto.
Tra specchi sociali, rappresentazione e giochi che possono aiutare a sentirsi parte di qualcosa
Davis sostiene con forza che la strada verso la diversità e l’inclusione di Barbie è stata lunga e segnata da deviazioni, incroci e forse uno o due vicoli ciechi. Il viaggio modulato in prima persona di Davis la porterà a riconsiderare la sua antipatia per Barbie.
Le questioni che esplora sono molto più profonde: la mancanza di uno “specchio sociale”, la lentezza del progresso e le tensioni legate dalla richiesta/bisogno da parte della comunità, da parte dei “privilegiati”. Come spesso si sottolinea in queste circostanze, uno dei punti saldi è che è fondamentale essere rappresentati in un racconto, in un film, in una serie e anche nei giochi perché tutto ciò fa dire alle persone esisto, ci sono, ho un posto. Insomma è un problema/una questione di rappresentazione e quindi anche di non rappresentazione. C’erano anche prima bambole nere nell’universo di Barbie ma erano tutte amiche di Barbie, compagne di Barbie, non avevano il centro ma erano poste a lato. La versione nera di Barbie, creata dalla prima designer nera dell’azienda, Kitty Black Perkins, doveva essere un personaggio principale e questo cambia tutto, il senso, il verso, la condizione e le conseguenze.
È difficile immaginare che una bambola possa rappresentare un salto evolutivo per le ragazze negli anni ’50, quando la Barbie è nata ma invece lo è stato, prima di Barbie, le bambine giocavano con le bambole, incoraggiando un futuro da madri. Barbie invece le spinge a sognare qualunque cosa, essere una donna indipendente, con aspirazioni che potevano andare anche oltre la maternità. Attraverso Barbie, Handler voleva che le bambine si realizzassero. Per le bambine nere, tutto questo fino alla nascita di Black Barbie non esisteva.
Nel documentario si fa riferimento anche ai test storici delle bambole degli anni ’40 utili a spiegare perché la Barbie nera è importante e come una Barbie dai capelli biondi e dagli occhi azzurri, incarnazione di uno standard ben preciso e di una bellezza utopica, bianca e irrealistica, possa minare la consapevolezza dei bambini e della bambine nere. Pensiamo a tutti e a tutte quelle che non si sono mai sentite abbastanza perché la Barbie migliore è quella bionda, quella bianca. Per spiegarlo meglio ricorda come i dottori Kenneth e Mamie Clark hanno condotto test dando ai bambini, dai tre ai sette anni, bambole bianche e nere identiche in tutto tranne che nel colore della pelle. Successivamente, è stato chiesto loro di attribuire caratteristiche positive e negative alle bambole; la maggior parte dei bambini ha rifiutato le bambole nere, parlando a lungo della loro autostima. Sembra impossibile eppure una semplice bambola può modificare il punto di vista, soprattutto se prima non esisteva. Tutto ciò si fa ancora più potente quando si sentono i racconti di donne, ragazze, bambine che riportano alla memoria i giorni in cui sono state ridicolizzate e bullizzate per il colore della pelle. Giocare con bambole così diverse da loro vuol dire non andare bene e quindi emerge chiaramente una certa solitudine provata da tutte queste (ex) bambine. “Incoronare questa bambola come Barbie significava dire al mondo che anche il nero è bello”, ha spiegato una donna nel documentario.
Black Barbie: i corpi plurali, inclusione e grandi donne nere che sono state le prime
Black Barbie porta al centro la diversità delle opinioni delle donne nere su Barbie, ciascuna parla di ciò che il gioco ha significato per loro, ciascuna esprime liberamente e ricorda ciò che è stata quella bambola di plastica con un corpo così simile a quello delle loro madri e a quello che loro hanno oggi. Davis arruola alcune famose prime donne nere per discutere dell’importanza della Barbie che ha il loro stesso colore della pelle: la prima ballerina Misty Copeland, la medaglia olimpica di scherma Ibtihaj Muhammad, politica statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della California Maxine Waters, l’attrice Gabourey Sidibe (che ha interpretato Precious) e Shonda Rhimes, una delle più importanti sceneggiatrici e produttrici televisivi statunitensi. Diventa fondamentale il lavoro di Mattel che costruisce bambole che fanno qualunque cosa, che sono qualunque cosa, che hanno qualunque colore, qualunque tipo di corpo. Si tratta di una grande lezione di inclusività e in questo modo tutte le bambine e i bambini del mondo possono ritrovarsi in quel gioco.
Black Barbie: valutazione e conclusione
Black Barbie è un interessante e importante documentario che non si tira indietro neanche per un secondo. Si entra nella storia viva e pulsante, partendo dalle origini per arrivare ad oggi. Si esaminano situazioni, ricordi, si riportano a galla i momenti epocali della storia di Barbie nera, oltrepassando la superficie e arrivando così al nocciolo della questione. Il documentario fa bene a chi pensa che la rappresentazione, i giochi, i racconti non siano necessari per costruire chi siamo e chi saremo. Non è difficile quindi pensare a quelle bambine nere che piangevano alla vista della Sirenetta nera perché ha fatto capire loro che esistono, che possono stare al centro, che non sono solo comprimarie ma possono essere anche protagoniste come le loro sorelle bianche e biondissime.
Black Barbie illustra come la rappresentazione delle donne nere attraverso la lotta, possa elevare la voce e l’immagine attraverso un giocattolo.