Black Panther: Wakanda Forever – recensione del film Marvel

Il sequel dell'apprezzato Black Panther, nuovamente diretto da Ryan Coogler, vede una scrittura altalenante che non riesce sempre a gestire efficacemente il tema portante del film, ovvero il lutto e l'eredità, mentre registicamente regala combattimenti altamente spettacolari, in parte confusi.

Black Panther: Wakanda Forever ha un peso notevole all’interno del Marvel Cinematic Universe, considerando le alte aspettative che si sono create dietro il film. Portare avanti un progetto senza l’attore portante richiede sicuramente coraggio e abnegazione e fin dall’inizio Kevin Feige era stato chiaro sul fatto che l’assenza di Chadwick Boseman, scomparso nell’estate del 2020 all’età di 43 anni, sarebbe stata affrontata nella pellicola con delicatezza e intensità, onorando la sua memoria.

Ed effettivamente Black Panther: Wakanda Forever è un lungometraggio dedicato fortemente a T’Challa, alla sua morte prematura, al segno che metacinematograficamente parlando ha lasciato nel cuore degli appassionati. Una pellicola che parla di perdita, identità culturale ed eredità, ma si perde in una narrazione fin troppo superficiale, che da un lato non riesce sempre a trovare il modo giusto di ricordare l’attore, dall’altro si trova in difficoltà nel gestire la moltitudine di tematiche presenti. Vi ricordiamo che il cinecomic, supportato da una regia altisonante ed esteticamente sublime, con qualche scivolone, arriverà nelle sale italiane il 9 novembre 2022.

Black Panther: Wakanda Forever, una figura ingombrante

Black Panther: Wakanda Forever - Cinematographe

Black Panther: Wakanda Forever, senza andare troppo specifico, parte da un grande limite che i Marvel Studios hanno cercato in tutti i modi di superare: è inutile girarci intorno, la morte di Boseman, al di là del vuoto emotivo che ha lasciato, ha anche pesato come un macigno a livello artistico. Il primo film, infatti, è evidente che vedeva tra i suoi punti di forza un protagonista carismatico che, trasversalmente dal punto di vista prettamente cinematografico, è riuscito a rappresentare anche brillantemente una cultura, avendo un impatto forte sulla società. Non è un caso che il precedente capitolo ha avuto una risonanza così tanto impattante nel cuore degli afroamericani.

Ecco perché la perdita di un talentuoso attore che è stato, in parallelo, anche un simbolo imperituro nella memoria dell’MCU non può che rappresentare un punto di inizio difficoltoso e complicato per un sequel, sia sul piano contenutistico che strutturale. Quindi, se partiamo con il dire che riconosciamo la difficoltà alla base del progetto, è doveroso sottolineare che il ricordo del divo, che vive in ogni sequenza della pellicola, è stato affrontato sì in modo fortemente toccante, lasciando però un senso di freddezza negli spettatori. Sembrano non essere bastati i riferimenti diretti e non al potente T’Challa, la cui scomparsa sembra mancare di un collante emotivo adeguato.

I personaggi di Black Panther: Wakanda Forever vivono, ognuno a modo suo, il lutto così come anche la sua eredità viene raccontata con intensità, ma il risultato finale sembra riempirsi di tante parole, di tanto contenuto, ma con una forma narrativa non adeguata, che non dà il peso necessario al tragico evento nell’economia della storia e che al tempo stesso non lascia molto emotivamente, tranne qualche scena cardine davvero centrata. I problemi narrativi, però, non finiscono qui: anche lo stesso sviluppo del copione si impantana in un intreccio insensatamente complicato, che si avvale spesso di un cambio di location repentino che appesantisce la trama.

Più si va avanti, però, più ci si rende conto che la trama avrebbe forse funzionato meglio non solo con una semplicità e linearità maggiore nella costruzione degli eventi, ma anche con un minutaggio decisamente ridotto. Le 2 ore e 40, infatti, sono dense di avvenimenti, personaggi, sottotrame non tutte però così importanti da essere preponderanti sul piano registico e narrativo. Per ciò che riguarda il contenuto, invece, se il tema del lutto funziona a fasi alterne, è realmente interessante quanta importanza è stata dedicata al valore culturale ed etnico, che si ravvisa nella scrittura del background dei wakandiani, ma anche nell’ideazione del popolo di Talocan, governato dal misterioso Namor (Tenoch Huerta).

Black Panther: Wakanda Forever, tante idee con uno sviluppo confuso

Black Panther: Wakanda Forever - Cinematographe

Joe Robert Cole e Ryan Coogler hanno riscritto le origini dell’antieroe sottomarino, inserendo un sostrato storico-culturale che era assente nella versione fumettistica. Un pretesto efficace per sensibilizzare il pubblico su pagine tristi della storia antica e al tempo stesso trasmettere un messaggio forte che invita a guardare le nostre radici e ad esserne orgogliosi, ignorando totalmente il giudizio e le cattiverie degli altri. Detto questo, se sullo sfondo Namor è stato costruito brillantemente, ciò che è mancante nella sua scrittura è un’incisività tale da renderlo un’antagonista di spicco. Il suo ruolo rimane un po’ troppo a margine, almeno all’interno di questo progetto.

Sul piano registico, Coogler alza la posta in gioco rispetto al lungometraggio precedente, migliorando la qualità estetica e tecnica del film e appropriandosi di un’identità artistica che era mancante in Black Panther. In altre parole, se il primo capitolo non osava a sufficienza, stavolta, paradossalmente, c’è il problema esattamente opposto. È tutto così imponente, tragico e suggestivo, con combattimenti esplosivi, ma che però avrebbero richiesto una direzione più ferma, considerando la confusione che generano alcune sequenze.

Al di là di qualche problema qua e là, la macchina da presa riesce a valorizzare ogni singolo attore presente, introducendo efficacemente delle new entries che avranno sicuramente un importante valore futuro. Il cast, inoltre, è probabilmente l’elemento più riuscito del cinecomic: i vari attori presenti, da Laetitia Wright (Shuri) a Winston Duke (M’Baku), da Angela Bassett (Ramonda) a Danai Gurira (Okoye) sono il cuore del film, riuscendo a regalare delle emozioni sentite dando un forte sprint evolutivo ai personaggi del primo Black Panther. Da riconoscere anche il talento di Tenoch Huerta che debutta nel Marvel Cinematic Universe con grinta e passione, mettendo in evidenza un gran lavoro di preparazione alle spalle del personaggio.

Black Panther: Wakanda Forever va sicuramente meglio del predecessore sul piano registico, proponendo tanta creatività nelle scene action e nella costruzione delle ambientazioni, anche se si avverte qua e là una confusione che intacca il risultato finale. Purtroppo, a livello narrativo, si avvertono le maggiori lacune con l’assenza di Chadwick Boseman che non è sempre gestita a dovere e la tematica del lutto che manca di focus. Detto questo, anche a fronte di una storia fin troppo ricca di elementi e asservita ad un minutaggio inutilmente poderoso, qualche tema interessante emerge, in particolare nella caratterizzazione del background di Namor. Anche gli attori coinvolti cercano in tutti i modi di risollevare questo sequel che purtroppo soffre di troppe mancanze.

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Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

3.1