Blindness – Cecità: recensione del film di Fernando Meirelles
Un uomo in macchina, fermo in prossimità di un incrocio, diventa improvvisamente cieco. Così ha inizio Blindness – Cecità, il film diretto da Fernando Meirelles tratto dal fortunato romanzo di José Saramago. Ci sono voluti molti anni prima che lo scrittore acconsentisse ad una versione cinematografica della sua opera ma finalmente nel 2008 i personaggi del suo romanzo presero volto, quello di Mark Ruffalo e Julianne Moore. I protagonisti del film hanno quindi un volto ma conservano una delle caratteristiche del libro, ovvero la mancanza di nomi: saranno chiamati il Medico e la Moglie.
Blindness – Cecità: un climax di violenza e disumanità
Facciamo un passo indietro: cos’è questa strana e improvvisa malattia che ha colpito l’uomo? È curabile? E qual è la causa? Sono queste le prime domande che o spettatore è portato a pensare nelle prime scene del film. L’uomo viene portato da un oculista per accertamenti e il giorno seguente succede qualcosa di strano: anche il Medico accusa gli stesi sintomi del suo paziente. Risultano inutili i tentativi dell’uomo di allontanare la moglie per paura di contagiarla con questa strana malattia. Infatti, dopo che le autorità annunciano la diffusione del virus per tutta la città e l’obbligo per gli uomini contagiati di recarsi in un ex ospedale per l’isolamento, la Moglie decide di fingersi cieca per non lasciare solo il marito.
Da qui si entra nel vivo del film, che esamina il lato più povero e bestiale dell’essere umano. Trattati come bestie da macello, in una condizione di sporcizia e disumanità, i contagiati sono costretti a condividere spazi sempre più stretti e iniziano guerre per un pasto e una doccia. La Moglie, che non rivela a nessuno la sua non-cecità, cerca di mantenere l’ordine, aiutare il marito e mantenere un livello di coscienza morale. Ma i giorni passano, il cibo scarseggia e il gruppo dominante spadroneggia, rivendicando la loro superiorità per l’appropriazione del cibo. Un pasto in cambio di una donna, poi un’uccisione, una vendetta e un climax di violenza inaudita porta la situazione verso un punto di non ritorno. Se nei momenti di difficoltà gli uomini dovrebbero aiutarsi, facendo emergere lo spirito di solidarietà che ci distingue, Blindness ci fa capire che, oltrepassato il limite della dignità, la morale viene meno e la bestialità che fa parte di noi prende il sopravvento sulla parte razionale. Solo la Moglie, non affetta dalla malattia, sembra non cedere a questo gioco emotivo, continuando a guidare fisicamente e spiritualmente, gli uomini alla deriva.
Perché l’umanità perde la vista e contemporaneamente perde il senso di giustizia e l’integrità morale? Come si può mettere fine alla catena di violenza?
Il regista non si sofferma sulla parte simbolica del film, prediligendo scene più fisiche in cui la violenza e la disumanità hanno il sopravvento. Non si interroga tanto quanto lo spettatore e questo è forse il lato più negativo del lavoro registico di Fernando Meirelles. Nessuno pretende la risposta esatta a tutti i quesiti che inevitabilmente vengono sollevati dalla sceneggiatura ma si sarebbe potuto creare un finale che non presupponesse solo un grande senso di smarrimento. Con una maggiore comunicazione regia-spettatore forse si sarebbe potuto creare un film di maggiore empatia. Restano magistrali le interpretazioni dei due attori principali, Mark Ruffalo e un’inattesa Julianne Moore bionda, con i tratti scavati, occhi increduli e pallore in viso, dà prova ancora una volta di essere una delle migliori attrici della sua generazione.