Bliss: recensione del film disponibile su Amazon Prime Video
Bliss', sesto lungometraggio di Mike Cahill, ricorre agli stilemi sci-fi per rincorrere la verità sfuggente delle nostre possibilità d'accesso alla realtà. Ma perde di vista l'obiettivo per eccesso di plot e mancanza d'indagine psicologica.
Mike Cahill, dopo I Origins (2014) e Another Earth (2011), torna alla fantascienza, suo genere elettivo, con Bliss, film da lui scritto e diretto con protagonisti Owen Wilson e Salma Hayek. Il titolo del film, conservato nell’originale inglese dalla distribuzione italiana, si può tradurre con “beatitudine”, ed è proprio intorno a questo concetto e alle sue distorsioni che l’opera è costruita.
Bliss: Greg e Isabel, persone reali in un mondo irreale
Greg (Owen Wilson) è reduce da un divorzio emotivamente faticoso, demotivato al lavoro, incline alle fantasticherie improduttive, dipendente dagli psicofarmaci. Il suo capo prima lo licenzia e poi resta vittima di uno spaventoso incidente da lui provocato. Per alleviare i dispiaceri Greg si rifugia in un bar e lì incontra Isabel (Salma Hayek), ‘sciamana’ dallo sguardo stregonesco e la voce roca. La signora, stravagante quanto basta, gli rivela di averlo riconosciuto: entrambi sono reali in un mondo irreale.
Isabel invita, così, Greg a farsi un giro all’interno di quell’enorme impostura chiamata appunto realtà. Greg prima ci sta e poi si stanca; allora Isabel gli mostra la ‘vera’ realtà, un paradiso che si può raggiungere solo a patto di attraversare, senza la tentazione di sfuggirne, l’inferno. La beatitudine richiamata dal titolo è, dunque, il premio per chi sceglie di puntare lo sguardo sul fondale nudo, inevitabilmente doloroso, della realtà, senza lasciarsi confondere dalle sue tentacolari contraffazioni o inebriare dai suoi balsami a buon mercato.
Insieme ambizioso e banale nello sfidare una questione filosofica tanto complessa quanto già affidata a espressioni cinematografiche e letterarie ben più riuscite, Bliss eccede nel plot moltiplicandone i rivoli senza motivo e spegnendo ogni verità emotiva nel gelo artefatto della sofisticazione narrativa (e, dunque, intellettuale). Film più di testa che di pancia, più di intreccio che di sensibilità per l’essenziale, Bliss riconosce il suo limite maggiore proprio nell’incapacità di indagare psicologicamente personaggi immobili, innaturalmente fiacchi, più compressi che valorizzati da una sceneggiatura composta tutta di moti esteriori.
Un film che sfida questioni alte, ma delega al pubblico il compito di districarle
La necessità del male per raggiungere il bene è un concetto che Cahill appiattisce paradossalmente proprio scegliendo di collocarlo a un livello ontologico, al livello più alto possibile dell’indagine metafisica. Se avesse calato il tema in una dimensione esistenziale, indagando, anziché il rapporto dell’essere umano con la realtà esterna, il rapporto dell’essere umano con il reale che urta quell’interno sigillato e ‘bucato’ al contempo che è la nostra psiche, forse avrebbe realizzato un film meno intelligente sulla carta ma più vero allo sguardo..
Bliss appare, allora, a causa dell’ingenuità del suo autore a scambiare per massimi sistemi i requisiti minimi del discorso filosofico, come un’opera oziosa, che nulla aggiunge quel che sappiamo della nostra condizione di uomini e donne necessariamente esposti all’insensatezza della realtà e ai suoi inganni percettivi.
Il ricorso al genere fantascientifico, di per sé insidioso, non può trovare giustificazione nell’esigenza di rendere servizio alla storia attraverso la creazione di un’atmosfera straniata e dubitativa, ma deve autorizzarsi in virtù dell’assenza di un’alternativa etico-estetica, di altre vie praticabili, in nome di un’urgenza profonda che qui, a ben guardare, manca. Il film con furbizia delega a chi guarda il difficile compito di venire a capo di una matassa problematica che accumula pesi e in cambio neanche gratifica quell’intelletto che aveva promesso di stimolare.