Borderlands: recensione del film di Eli Roth
Il film con protagonisti Cate Blanchett, Kevin Hart e Jamie Lee Curtis e basato sull'omonimo videogioco è al cinema dal 7 agosto.
Nell’epoca in cui mainstream fa rima con adattamento e in cui cinema e televisione rispondono a logiche di mercato che esaltano la mercificazione audiovisiva di un qualsiasi brand, l’industria dimostra un’attenzione gradualmente crescente verso l’universo videoludico, e Borderlands ne è l’ultimo esempio lampate. Disponibile in sala a partire dal 7 agosto, il nuovo film diretto da Eli Roth – allontanatosi dalla sua solita poetica dell’orrorifico, nata nel 2002 con Cabin Fever e proseguita sino allo scorso anno, con l’apprezzatissimo Thanksgiving – è direttamente tratto dall’omonima serie di videogiochi, sviluppata da Gearbox e pubblicata da 2K a partire dal 2009. Il live action, scritto dallo stesso Roth assieme a Joe Crombie, prodotto da Arad Productions, Lionsgate e Picturestart e distribuito in Italia da Eagle Pictures, vede il compositore statunitense Steve Jablonsky alla scrittura e direzione della colonna sonora, e uno stravagante cast, di grande esperienza, dare volto ai personaggi ripresi dai primi due capitoli del videogioco: Cate Blanchett, Jamie Lee Curtis, Kevin Hart, Ariana Greenblatt e Jack Black.
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Borderlands: a caccia su Pandora
Allontanata dalla terra natia in tenera età per scelta di sua madre, intenzionata unicamente a salvaguardarne il futuro, un’ormai adulta Lilith (Cate Blanchett), divenuta nel frattempo un’esperta cacciatrice di taglie, è ora costretta ad affrontare il suo passato e a tornare su Pandora, l’eccentrico e caotico pianeta dal quale proviene. Incaricata da Atlas (Edgar Ramirez), il più ricco e potente magnate dell’intera galassia, di ritrovare la figlia scomparsa, Tina (Ariana Greenblatt), la protagonista torna a casa e si trova fin da subito a dover affrontare le ostilità di un universo ormai alla deriva, vittima della propria distopia, ove regna il degrado e il poter è in mano a bande di criminali squilibrati.
Appena sbarcata sul nuovo modo, Lilith si imbatte in Claptrap, il logorroico e sarcastico robot a cui da voce Jack Black, che nasconde un profondissimo legame con lei. Esso è solamente il primo dei compagni di viaggio che affiancheranno la donna nella caccia alla Cripta, un luogo misterioso in cui si ritiene siano nascosti tesori tecnologici, appartenenti ad altri universi, e per l’apertura della quale la giovane Tina si rivela essere fondamentale. Fin dal primo incontro con la sua salvatrice, la ragazzina dimostra tutta la sua sfrontatezza, al pari dei suoi compagni di viaggio Roland (Kevin Hart) e Krieg (Florian Monteanu), ma a causa delle circostanze si unisce ugualmente a Lilith. Alla squadra, che una volta unitasi inizia a comprendere i reali piani di Atlas, si unisce lungo il tragitto la scienziata Tannis (Jamie Lee Curtis), con cui la protagonista condivide importanti ricordi.
Cinematografia videoludica
La volontà di un certo cinema di proporre una realtà alternativa, all’interno della quale il pubblico si possa identificare per poi perdercisi, viene perfettamente assorbita dal mondo dei videogiochi, che più di qualsiasi altra industria si avvicina al concetto di metaverso rendendolo credibile, palpabile. La settimana arte si pone quindi ora l’obbiettivo di integrare sempre più questa branchia dell’audiovisivo, tentando di mantenere il fascino e l’attrattiva, ma mentre l’operazione sembra ben riuscire a prodotti seriali quali, ad esempio, Arcane e The Last of Us, che hanno la possibilità di rendere giustizia a personaggi complessi e trame intessute su durate ben più consistenti di quella di un lungometraggio, la singola pellicola spesso non è in grado di restituire allo spettatore le stesse sensazioni e lo stesso attaccamento dati dal gioco. Nel caso di Borderlands ci si confronta con personaggi, con cui risulta difficile entrare in empatia perché scarni di un sostrato narrativo, e con una trama che si regge sulle sue gambe ma che non riesce a coinvolgere come vorrebbe, fatta eccezione forse per gli appassionati della serie videoludica, che hanno dalla loro una maggiore dimestichezza con il contesto.
Borderlands: valutazione e conclusione
Ma quello su cui i fan devono porre principalmente l’attenzione è l’umore, è il tono, è il taglio che Eli Roth e Joe Crombie hanno voluto dare alla pellicola, il cui obbiettivo principale dovrebbe essere quello di riproporre la peculiarità caratteriale del prodotto, che nel videogioco fonde assieme il sarcasmo e l’eccentrica violenza. Laddove, però, l’estetica punk alla Suicide Squad tanta di incontrare le atmosfere postapocalittice alla MadMax o alla 1997: Fuga da New York – citato dallo stesso Roth come modello al quale si è ispirato – ne risulta una pellicola che perde d’efficacia e a cui, seppur vada riconosciuta un’attenzione alla scenografia e ai costumi, in grado di ricreare l’ambiente in maniera fedele, va recriminata una perdita sia sul piano della sardonica irriverenza, salvata solamente in parte dalla presenza del simpatico Claptrap, sia sul piano di una violenza che, dalla mano di Eli Roth ci si aspetterebbe più impattante e sanguigna. Il regista classe 1972 ha provato ad allontanarsi dalla sua poetica di genere e dall’horror ma, pur avendo dimostrato di saper dirigere tutt’altro prodotto, ha anche evidenziato quanto il suo cinema possa arricchire molto più il movimento quando si mantiene vicino alle proprie corde.
Il cast d’eccezione non aiuta ad innalzare la pellicola a blockbuster, come era probabilmente negli intenti della produzione, ma anzi incrementa un distacco tra la forma e il suo contenuto, inserendo volti a noi molto noti, in vesti che non sembrano mai calzargli perfettamente. Ne risulta un’opera che, nonostante le premesse, sembra non pretendere molto e che, a differenza di quel che ci si aspetterebbe dal suo autore, non osa, non azzarda.
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