Braveheart – Cuore Impavido: recensione del kolossal di Mel Gibson
Braveheart - Cuore impavido, la leggendaria pellicola di Mel Gibson che racconta le vicende del condottiero scozzese William Wallace e la sua strenua lotta per l'indipendenza.
Mel Gibson inizia la sua carriera nel lontano 1977 recitando in Summer City – Un’estate di fuoco per poi ottenere la notorietà appena due anni dopo nei panni di Max Rockatansky in Interceptor di Miller. Il resto, come si dice, è storia. Una carriera sfolgorante per uno dei divi della Hollywood degli anni 90, un personaggio sopra le righe per sue vicende personali e per le sue scelte sullo schermo. Un attore e un regista che si è fatto conoscere da almeno 3 generazioni di appassionati di cinema. Come regista, appunto, debutta nel 1993 con L’uomo senza volto, in cui interpreta anche il protagonista, ma è nel 1995, grazie a Braveheart – Cuore impavido, che raggiunge il firmamento del cinema americano, sfornando un kolossal che divenne subito leggenda.
La pellicola che narra le vicende del condottiero scozzese William Wallace (interpretato dallo stesso Gibson) vince 5 premi oscar (tra cui miglior film, miglior regia e miglior fotografia), 1 Golden Globe per la regia e 3 premi BAFTA. Ma l’importanza della mastodontica opera seconda di Mel Gibson trascende i meriti cinematografici, svolgendo un ruolo di rilievo nel risveglio della coscienza nazionale scozzese, che ha portato al referendum sulla devoluzione dell’11 settembre 1997 e alla conseguente ricostituzione del parlamento scozzese, nel 1998.
Nel cast, oltre allo stesso Gibson, recitano attori di primo piano come Sophie Marceau (Il tempo delle mele), Brendan Gleeson (Calvario, In Bruges – La coscienza dell’assassino, The General), James Cosmo (Highlander – L’ultimo immortale, Trainspotting), Patrick McGoohan (Fuga da Alcatraz, Scanners) e Brian Cox (Il processo di Norimberga, Rushmore, La 25° ora).
La trama di Braveheart – Cuore impavido
Anno del Signore 1280, la Scozia è senza eredi al trono ed il re d’Inghilterra Edoardo I Plantageneto (McGoohan), che da anni minaccia il Paese, approfitta della situazione per tendere un’imboscata ai nobili scozzesi pretendenti alla corona e scatenare il suo esercito contro la popolazione rimasta senza difese. Questo è il contesto in cui trascorre la sua infanzia William Wallace (Gibson), che, dopo essere rimasto orfano del padre e del fratello maggiore, viene allevato da suo zio Argyle (Cox), presso il quale viaggerà in tutta Europa e verrà istruito nell’arte del combattimento, ma anche a leggere, far di conto e a parlare latino e francese.
Dopo vent’anni William torna a Lanark, il suo villaggio d’origine, ormai sotto il controllo di un feudatario inglese, dove intende trascorrere una vita serena come contadino. Nelle giornate spensierate si innamora di Murron, una ragazza conosciuta in tenera età, con la quale decide di sposarsi in segreto a causa dello ius primae noctis, reintrodotto dal Plantageneto, che costringeva qualsiasi novella sposa a giacere con il signorotto di turno. Anche se la ragazza scampa alla legge sopracitata, ella viene comunque fatta oggetto delle particolari attenzioni dei soldati inglesi e, quando si oppone ai tentativi di violenza nei suoi confronti, viene uccisa in pubblica piazza. Questa è la scintilla che provoca la reazione di Wallace, il quale raccoglie intorno a sé gli abitanti del villaggio già sfiancati dalle umiliazioni inglesi e fa strage di tutti gli uomini della corona sul territorio.
All’inizio è solo una ribellione locale, ma presto la tempesta scatenata dal condottiero scozzese coinvolgerà tutta la Nazione, che si riscoprirà feroce e vogliosa di riconquistare un’indipendenza perduta da troppo tempo, anche se sul campo di battaglia troverà l’esercito più forte del mondo.
Braveheart – Cuore impavido: tra epica ed evento storico
Così come, secondo la tradizione, è stata la figura mitica di Omero a cantare l’Eneide e l’Odissea, allo stesso modo la leggenda di William Wallace è stata tramandata da un menestrello non vedente del XV secolo di nome Harry Il Cieco. Già da questo si percepisce quanto l’importanza delle accuratezze storiche sia marginale nel racconto di una figura che trascende le pagine della storia e alle cui gesta si può rendere giustizia solo con i versi dell’epica.
Il film, d’altronde, non nasce da una ricerca rigorosa, ma da una pura e semplice curiosità dello sceneggiatore Randall Wallace, che decide di approfondire la vicenda di un cognonimo famoso di cui vide una statua ad Aberdeen. Lo scopo suo, così come quello di Gibson è la creazione di un mito, attraverso l’esaltazione dell’ardore, del coraggio e del sacrificio in nome della libertà e della giustizia. Questo è il cuore della pellicola e, assunto questo, tutte le critiche e le accuse dei detrattori vengono obbligatoriamente a cadere. Dopotutto non ha senso chiedere di tenere conto della temperatura dell’acqua a chi vuole camminare sulla sua superficie.
Braveheart – Cuore impavido: il testamento di Mel Gibson
Mel Gibson, più che interpretare, si fonde con la figura di William Wallace.
Egli consacra se stesso al condottiero della mitologia celtica, prestando il suo corpo e la sua anima per farsi portavoce di una leggenda raccontata con un linguaggio esaltante, sfarzoso e fomentato, realizzando un kolossal costosissimo ed imponente, miscelando brillantemente il linguaggio epico ed una sanguinosa e disperata apologia della vendetta in nome della libertà. Il culto del superomismo e l’elegia del nazionalismo, elementi tipici della poetica gibsoniana, che spesso si è calato in personaggi mitici (We Were Soldiers – Fino all’ultimo uomo, Il patriota), trovano nella pellicola il loro pieno compimento. Accanto a loro c’è il racconto appassionato della retorica militare e l’esaltazione della incorruttibilità morale, financo davanti alla morte.
A lavoro ultimato siamo di fronte ad una pellicola di 3 ore vissute a grandi ritmi, con delle fasi di esaltazione massima contrapposte a dei momenti più leggeri, in cui si accenna appena all’uomo Wallace, che rimane comunque perfetto e un gigante tra gli uomini.
Ad una scrittura prolissa, retorica, ma pur sempre efficace si affianca una regia potente e prepotente, che permette allo spettatore di godere di alcune scene di battaglia sensazionali e rendendo giustizia alle meravigliose coreografie.
Un’opera maestosa, ricca e dettagliata. Un caso cinematografico che non punta sulla complessità psicologica o sullo studio dell’animo umano, ma che vuole ricreare l’impianto del mito sullo schermo, c’entrando in pieno l’obiettivo. Può piacere o non piacere, ma la storia del cinema passa anche da qui.