Bring them down: recensione del film con Barry Keognan e Christopher Abbott da Roma FF19

Christopher Abbott e Barry Keognan sono protagonisti del film Bring them down, presentato in concorso alla 19ª Festa del Cinema di Roma.

Christopher Andrews firma il suo primo lungometraggio con Bring them down, presentato in concorso alla 19ª Festa del Cinema di Roma. Protagonisti i 2 straordinari attori Christopher Abbott e Barry Keoghan, seguiti dagli ottimi Colm Meaney, Nora-Jane Noone e Paul Ready. Ambientato nell’Irlanda più rustica e contadina, Bring them down racconta la vita di personaggi tormentati, minacciati da un futuro incerto, sfiniti da un lavoro che li stanca e annichilisce, ma che è anche la loro unica fonte di sostentamento, l’unica capacità, l’unica cosa che possono fare. E anche l’unica per cui combattere.

Bring them down: due attori, due personaggi, due mondi e due diversi punti di vista

Bring them down - cinematographe.it

Gli attori di Bring them down sono superlativi, con Barry Keoghan primo fra tutti che dimostra così di essere, se non il migliore, uno dei migliori attori della sua generazione. Keoghan è infatti inequivocabilmente in parte nel ruolo di un ragazzo che non comprende a pieno le proprie azioni, che opera in nome di una violenza insita negli animi di ognuna delle figure che vivono in quel mondo chiuso e opprimente. Anche Christopher Abbott riprende le caratteristiche di un uomo sopraffatto da quella ferocia, propria di un luogo e di una famiglia che si è spezzata negli anni, distrutta da quell’evento del passato. Memorabile il gioco di sguardi tra i 2 attori, sul finale della seconda metà del film, quando tutti i nodi vengono al pettine. Quando cioè il doppio piano di realtà si incontra, e la storia continua verso quel presagio di morte e distruzione: metafore di una totale perdita della capacità di provare emozioni.

Perché Bring them down mostra lo stesso racconto da 2 punti di vista diversi, quello di Michael, volto di Christopher Abbott e quello di Jack, interpretato da Barry Keoghan. Un impianto stilistico e narrativo che chiarisce i punti salienti della storia, i vari climax che accertano tutto ciò che prima era solo suggestione, traccia e profezia. Mentre i colpevoli diventano innocenti, le vittime i carnefici, Bring them down ispira la percezione di una salvezza irraggiungibile e l’intuizione di una redenzione impossibile. Il gregge e quella miriade di pecore e montoni sono inermi, innocue e indifese, vengono martoriate e torturate per un’inezia economica che nel microcosmo del film appare però come l’unica reale modalità per cambiare vita. Ciò che viene fatto agli animali, Christopher Andrews lo fa vedere e sentire con ostinazione e accanimento, con intere sequenze estremamente brutali e cariche di dettagli, nonostante l’oscurità pervada ognuna delle scene. Teso, crudo e drammatico, Bring them down è denso di sconforto, pessimismo e sfiducia.

L’innegabile impatto visivo del film

Bring them down

Tra gole tagliate, corpi pugnalati, zampe tranciate e belati strazianti, quello che accade agli animali è sia causa che stato d’animo. Il gregge viene massacrato, il pastore si smarrisce e l’uomo accoglie, disperato e impaurito, la malvagità, la stessa che lo ha portato a seppellire chi non aveva modo di difendersi. L’Irlanda rurale e agreste è la natura matrigna e divoratrice che non lascia vie di fuga. La campagna si estende a dismisura e l’orizzonte è avvolto dalla nebbia e nascosto dagli alberi. Il sole raramente filtra tra le nuvole che rendono il cielo grigio, il clima gelido e la vegetazione spoglia e austera. Non c’è spazio per i sentimenti più puri, solo per chi uccide, deturpa e mutila persone e animali. Afflitti e continuamente sfidati dall’ambiente circostante, le figure presenti nel film, se perdono il loro gregge, perdono tutto: la loro anima è già macchiata e buia e la loro vita, oltre l’allevamento, gli si dipana solo come insignificante.

In Bring them down non esiste giusto e sbagliato, eroe e villain, protagonista e antagonista e la scelta di mostrare la storia prima da una parte e poi dall’altra, non fa che mettere in evidenza questa continua ambivalenza dei 2 protagonisti. Insieme a una dubbia ed esitante speranza, che porta a chiedersi se ci sia davvero alla fine un’aspettativa, un’attesa o un desiderio di rivalsa. Se uno è un ragazzo ancora immaturo e che agisce inconsapevole, caricato da un’ambizione che è propria di uno slancio giovanile, l’altro è inasprito da questo passato incombente che lo perseguita, vuole giustizia e vendetta e non importa se per le sue scelte non ci sarà perdono, perché lui ha già fatto qualcosa di irreparabile anni prima. Condannati e senza quindi l’illusione di un riscatto, che dovrebbe essere sociale, personale e culturale, vivono nella contraddizione, in una perpetua lotta interiore, nell’essere giudici e imputati di se stessi.

Bring them down: valutazione e conclusione

Bring them down

Bring them down insiste senza pietà su un’esteriore, forse non del tutto veritiera, assenza di rimorso e rimpianto, perché la crudeltà e l’apatia dimorano subdole e disoneste, accrescendosi, aumentando e intensificandosi. La vita, o per meglio, dire, la sopravvivenza, è un’escalation di angherie, violazioni e costrizioni. Spesso delle più crudeli. Il film di Christopher Andrews, ottimamente interpretato e diretto, con un’ambientazione stupefacente, non è però esente da difetti. È eccessivamente lento, tutto scorre con indolenza e con minimi picchi d’intensità. Alcune situazioni appaiono curiose e anomale, forse volte a enfatizzare un universo che soffoca, che è ampio, vasto e dove, nella natura incontaminata di boschi e montagne, sembra non esserci mai stato il passaggio dell’uomo. Eppure quelle terre così vuote ed estese sono asfissianti, assorbono e prosciugano chi vi risiede, chi all’interno vi si perde e chi di quei poderi e di quei pascoli ne vive. Sicuramente con angoscia, noia e con immensa fatica, ma anche senza altra alternativa.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.4