Brothers: recensione del film di Hanro Smitsman

Brothers, presentato in concorso al Giffoni 2018, è un film che parla del profondo legame tra fratelli, anche nelle condizioni più difficili.

Quanto può portare lontano l’amore tra fratelli? A cosa può sopravvivere un vincolo stretto come quello di sangue? Brothers di Hanro Smitsman – in concorso al Giffoni Film Festival 2018 – risponde proprio a queste domande, ambientando una storia esemplare nelle desolate terre della Siria e andando a indagare uno dei fenomeni più sconcertanti e inaccettabili della contemporaneità: quello dei foreign fighters.

Il film è raccontato attraverso il punto di vista di Hassan (Achmed Akkabi), un comico afgano che vive nei Paesi Bassi. L’equilibrio, già fragile, della sua famiglia è compromesso quando arriva la notizia che il fratello Yasin (Bilal Wahib) è scomparso da tre settimane in una parte indefinita tra la Giordania e la Siria ed è sospettato di essersi unito al terrorismo fondamentalista islamico. Allarmati da questa sparizione repentina, Hassan e il fratello maggiore Mourad (Walid Benmbarek) decidono di partire verso il Medio Oriente e di ripercorrere le ultime tracce lasciate da Yasin.

Brothers: nell’orrore della guerra

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Il paesaggio che Hassan e Mourad troveranno in Giordania e poi in Siria è un terreno brullo e disperato, in cui anche i villaggi hanno perso il nome e la gente vive nel costante terrore di una morte improvvisa. In più di una scena, il regista Hanro Smitsman mostra senza filtri la perdita di umanità e del valore dato alla vita in un territorio che non ricorda neanche più cos’è la pace. Lo sguardo disorientato dei due fratelli, portatori di una mentalità ormai occidentalizzata, eppure figli di quelle terre e di quella Storia, diventa lo sguardo dell’autore e del pubblico: siamo tutti storditi, spaventati, confusi e increduli davanti a un orrore senza senso. Avendo vissuto per sei anni in Medio Oriente, Smitsman ha imparato a conoscere la guerra in tutte le sue sfumature e si premura di raccontarla così com’è, senza prendere parti per una o per l’altra fazione, ma denunciando – piuttosto – l’assoluta gratuità della violenza. Allo stesso tempo, però, non manca di mostrare la salvezza che c’è nel legame e nella solidarietà tra le persone, specialmente tra fratelli e sorelle e la speranza che si rinnova laddove si crea una nuova relazione.

“I confini – ha dichiarato Hanro Smitsman presentando il suo film ai ragazzi della giuria del Giffoni – sono un concetto astratto, mentale, falso: mai credere a chi ci dice che delle linee immaginarie hanno il potere di dividere i popoli o di giustificare guerre”.

Per quanto la storia abbia come personaggi principali uomini e donne adulti, colpisce lo sguardo che il regista riserva ai bambini. Osservandoli calati nel contesto delle guerra, i più piccoli diventano i veri portavoce del dolore raccontato da Smitsman e protagonisti di alcune delle scene più toccanti di tutto il racconto: trasformati in adulti prematuri, violentati nel loro diritto all’infanzia, i bambini sono le prime vittime di quella macchina mostruosa che uccide, giorno dopo giorno e da anni, migliaia di persone nelle zone di guerra. I loro volti spaventati dissimulano la paura in un coraggio e in una sfrontatezza tutta infantile, la loro gestualità che altrove, nel mondo, è ludica e spensierata diventa qui tragicamente autentica: nel gioco di guardia e ladri di un bambino siriano, però, si muore davvero e non sono concesse altre partite.

Brothers: senza perdere il sorriso

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Per quanto possa sembrare l’ultimo luogo sulla faccia della terra in cui sia rimasta ancora voglia di ridere, anche nei territori devastati della Siria Smitsman non dimentica di sottolineare l’ironia dei suoi personaggi. La scelta di un cabarettista come protagonista di una storia così dura è, anzi, un modo per alleggerire i toni del racconto (per quanto possibile) e per accentuare lo sguardo disincantato con cui il regista guarda ai fanatismi. Come un pesce fuor d’acqua, il personaggio principale fa i conti con una realtà che mai avrebbe creduto di dover affrontare e che ha – anzi – sempre tenuto lontana col suo sarcasmo.

La stessa vicenda personale di Yasin e della sua fidanzata Suha (Ghalia Takriti), almeno in un primo momento, testimonia come anche nelle condizioni più difficili possano sbocciare sentimenti di speranza e progettualità, concretizzati in tutta la passione di un amore giovanile. Se, però, Yasin reagisce alla brusca e violenta disillusione dei suoi progetti con rabbia e sete di vendetta, Hassan e Mourad non perdono fino all’ultimo la loro umanità riuscendo a trascinare il fratello perduto in un ultimo gesto verso il riscatto.

Il regista ha voluto conservare questa scrittura quotidiana e spntanea proprio per mettere in scena un racconto della Siria completo, sviluppato in tutti i suoi 360 gradi: non solo la violenza, ma anche quello spirito di sopravvivenza proprio dei suoi abitanti e la loro innata e resiliente capacità di sdrammatizzare anche la tragedia più nera.

Brothers: il dramma dei foreign fighters

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Con grande coraggio Hanro Smitsman affronta un tema molto delicato, che continua a mettere in crisi il sistema di valori occidentale e la sua storica egemonia culturale. Raccontando di come ragazzi nati e cresciuti in Europa (colpisce la figura del Jihadista belga, una delle personalità più inquietanti di tutto il film) decidano di cambiare vita e di dedicarsi fino alla morte alla Guerra Santa, il regista getta le basi per una riflessione sul fenomeno dei foreign fighters. Nella figura di Yassin, in particolare, Smitsman indaga una delle possibili motivazioni che possono portare questi ragazzi alla lotta armata contro quello che è un regime violento, rispondendo alle ingiustizie con mezzi altrettanto atroci. Non ci è dato sapere, invece, come i compagni del protagonista abbiano intrapreso questa strada così pericolosa, ma – nell’osservarli – siamo pervasi da un senso di normalità. Se da un lato nei loro discorsi c’è una radicalizzazione della fede e la sua confusione con una missione politica, nei piccoli gesti, nella loro quotidianità, c’è qualcosa di estremamente familiare: è proprio nei dettagli che Smitsman ricostruisce l’umanità, nell’empatia che vuole sviluppare una riflessione libera da preconcetti o dalla verità standardizzata proposta dai media.

Brothers è un film importante, sia da un punto di vista umano, sia da un punto di vista politico.  Probabilmente non godrà di una diffusione capillare, ma è assolutamente consigliato tenerlo d’occhio sia per il pubblico più giovane (a cui si potrà sottoporre in un’ottica di informazione e formazione) sia per il pubblico adulto. Una piccola perla indipendente che non vediamo l’ora di vedere distribuita anche in Italia.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.6