Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe: recensione del film di Salvador Simò
Il surrealismo emerge in tutta la sua potente carica ancestrale e immaginifica in Buñuel - Nel labirinto delle tartarughe.
Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe ha come protagonista il grande regista Luis Buñuel, che nel 1930 attraversava un momento molto difficile, visto che L’age d’or, il suo ultimo film inneggiante il surrealismo, era stato mal accolto dal pubblico, procurandogli severe critiche da parte dei benpensanti, tanto che ormai Buñuel si ritrova ad essere considerato un paria dall’ambiente artistico. Rompe anche con il suo mentore ed amico Salvador Dalì.
Tuttavia il suo grande amico Ramón Acín, grazie ad una vincita alla lotteria, gli dona quel denaro che gli permetterà di realizzare il suo prossimo film, Las Hurdes, documentario ambientato sull’omonima piccola isoletta iberica dell’Extremadura, abbandonata a sé stessa, in un mare di povertà e degrado.
Sarà l’inizio per Buñuel e la sua troupe, di un viaggio intenso, terribile, faticoso, tra le strade misere di quel villaggio in pietra, dove i tetti creano come il carapace di un’immensa tartaruga.
Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe: l’omaggio di Salvador Simò al grande Luis Buñuel
Diretto da Salvador Simò, Nel Labirinto delle Tartarughe, è ispirato all’omonima graphic novel Buñuel en el laberinto de las tortugas concepita da Fermín Solís, ed è un sentito omaggio al grande Buñuel, alla sua faticosa epopea artistica, così come al suo viaggio in quei mesi del 1932, che lo portarono a diventare il grande regista che fu.
Film intenso, difficile, questo di Simò è un grande omaggio ad un artista tra i più controversi, difficili, problematici, e allo stesso tempo ce ne mostra la cinica e adamantina determinazione del creare la sua opera, andando oltre ogni tipo di moralità, ogni tipo empatia, che viene soffocata in virtù della creazione artistica.
Opera ibrida, in cui affiorano numerosi frammenti del vero Terra Senza Pane, Nel Labirinto delle Tartarughe ha al suo centro proprio il ruolo dell’artista nella società, il suo fungere da specchio riflesso della realtà, il suo spezzare le regole certo, ma in nome di un fine superiore.
Buono? Cattivo? Imperscrutabile? Chissà… ma soprattutto uomo, un uomo in cerca di identità, di un suo percorso, capace di procurare sofferenza agli animali ma allo stesso tempo mosso dalla volontà di mostrare la miseria di quell’umanità abbandonata e reietta che lo circonda.
Buñuel: l’accostamento a Dalì e la sua rabbia creativa
Il surrealismo emerge in tutta la sua potente carica ancestrale e immaginifica, disturbante in questo film, che è anche molto politico, molto netto nel ricollegarsi a quell’epoca dei totalitarismi che di lì a poco avrebbe trascinato la Spagna nell’inferno della Guerra Civile e poi della dittatura franchista.
Buñuel, il suo affrancarsi da Dalì, la sua rabbia creativa, il suo sentirsi perso ma non smarrito, emergono in modo prepotente da Nel Labirinto delle Tartarughe, così come lo spaccato di un’epoca di miseria e abbandono, che di lì a qualche tempo il regime di Franco avrebbe cercato semplicemente di nascondere piuttosto che di correggere.
Belle le musiche di Arturo Cardelús, che ben si connettono alla sceneggiatura di Eligio R. Montero e Salvador Simó, che per quanto non particolarmente visionaria od eccentrica, è molto equilibrata, soprattutto per ciò che riguarda il protagonista, descritto soprattutto come uomo in fieri, creatura in mutamento.
Sicuramente un’opera complessa, che non lascia indifferenti, una scommessa vinta.
Buñuel – Nel labirinto delle tartarughe è al cinema dal 5 marzo 2020 con Draka Distribution.