Bushwick: recensione
La recensione di Bushwick, il film di Cary Murnion e Jonathan Milott con Dave Bautista nel cast. Un action movie inquietante, pauroso e intenso.
Per Lucy e Jose, giovani fidanzati studenti di college, sembra una mattina come le altre nella metropolitana vicino a Bushwick, zona residenziale newyorchese vicina a Brooklyn ma molto più degradata e per niente fashion.
Nel giro di pochi istanti però entrambi scoprono che attorno a loro si sta scatenando un vero e proprio fronte di guerra, con misteriosi miliziani che uccidono o arrestano chiunque abbiano di fronte senza che si capisca il perché.
Jose muore in pochi istanti per una bomba e Lucy (Britanny Snow), si trova da sola a dover sopravvivere in un caos incredibile, dove in poco tempo ogni forma di legalità, di giustizia e sicurezza semplicemente scompare, senza che nessuno capisca cosa sia successo.
Sulla sua strada trova a proteggerla e a scortarla il silenzioso e arcigno ex-marine Stupe (Dave Bautista) con il quale cerca di rintracciare i suoi cari, capire cosa sta succedendo a Bushwick e nei dintorni, trovare una via di fuga da una città che sempre sprofondata in un incubo di spari, esplosioni e morte.
Bushwick: una nuova guerra civile devasta gli USA nel film di Cary Murnion e Jonathan Milott
Bushwick rappresenta senz’altro una delle più interessanti pellicole viste all’ultimo Trieste Science + Fiction Festival, dal momento che include al suo interno le caratteristiche di molti generi cinematografici diversi, creando un insieme affascinante e verosimile.
Girato in modo sagace seguendo un solo piano-sequenza, è senza alcun dubbio un film inquietante, pauroso, intenso, che i registi Cary Murnion e Jonathan Milott hanno strutturato creando una sorta di soggettiva dello spettatore in perenne movimento, sempre a contatto con gli stralunati due protagonisti.
La loro opera, presentata fuori concorso, rappresenta una felice combine tra ciò che abbiamo visto in film come 28 Giorni Dopo, Io Sono Leggenda, Red Dawn, Cloverfield e La Guerra dei Mondi, delle quali amplificano il clima incerto, la sensazione di claustrofobia e sopratutto riprendono quella mancanza di coerenza dinamica e baricentro visivo che abbiamo tutti conosciuto in Full Metal Jacket di Kubrick.
La sceneggiatura di Nick Damici e Graham Reznick è sublimata non solo dall’efficace regia, ma sopratutto dalla fotografia perfetta di Lyle Vincent, nonché dalla colonna sonora di Aesop Rock. Tutti questi elementi hanno contribuito a donarci la visione di un’America violenta, divisa, in preda a fanatici, gang di strada, sparatorie casa per casa, strada per strada, dove non si capisce mai chi stia attaccando chi, da cosa e perché.
Il tutto preso assieme è una straordinaria visione politica degli Stati Uniti odierni, che sembrano tornati indietro di decenni se non di secoli, divisi tra Nord e Sud, Est ed Ovest, fasce costiere e interno. Neri contro bianchi, religione contro ateismo, poveri contro ricchi, c’è di tutto in Bushwick, e questo tutto si muove come un serpente tra quartieri degradati, piccoli appartamenti, parchi abbandonati, incendi, fumo e morte.
È una morte che colpisce da ogni angolo, ogni tetto, ogni strada, sulla quale solo procedendo nel film ne comprendiamo le assurde cause, le motivazioni, assurde certo lo ripetiamo. Ma non irreali o così distanti dalla realtà di un paese dove (è notizia di queste ultime ore) vi è stato l’ennesimo massacro, l’ennesima dimostrazione di quanto la violenza, le armi, l’odio, siano parte fondamentale del DNA degli Stati Uniti.
I veri nemici, questo film lo fa capire bene, i veri terroristi sono nati in Kentucky o Tennessee, sono cristiani e credono nella violenza, nelle armi e hanno il vecchio mito della Confederazione, si sentono patrioti in un paese imbastardito da altre etnie, e sotto sotto non ne vogliono sapere di staccarsi da un fanatismo religioso che li rende una versione occidentale dell’ISIS.
Bushwick: un film inquietante, pauroso, intenso
La paura, ecco il vero protagonista di Bushwick, la paura di ciò che non possiamo controllare o con cui non possiamo convivere, una paura che in questo film intenso e mai banale comincia con il dubbio dell’ennesimo attacco terroristico islamico, richiama alla memoria gli attacchi di Parigi, Londra, Barcellona o Nizza, passa dal microcosmo dei protagonisti al macrocosmo di un paese in preda all’anarchia, alla mancanza di coesione tra individui.
Protagonisti sono una Britanny Snow, assolutamente perfetta, credibile e convincente, anima sperduta in grado di mostrare come l’uomo sappia adattarsi a tutto, fare di tutto pur di sopravvivere, pur di ritrovare i propri cari, di non perdere il proprio altruismo e la propria umanità. Ma è sopratutto Dave Bautista a dominare i 94 minuti di Bushwick, facendo del suo Stupe un personaggio che reca con sé le ferite e le lacerazioni della vecchia America, di quella che si credeva invincibile e con l’11 settembre incrociò le proprie paure. Per combatterle in giro per il mondo in questi anni è diventata come Stupe: un gigante ferito, perso, pieno di dolore e che non sa che fare della propria vita. Straordinaria la sua performance, che dimostra ancora una volta quanto l’ex star della WWE sia molto sottovalutato come attore, e come nasconda un talento e una versatilità che andrebbero meglio utilizzati.
Geniale nella scelta di ambientare il tutto in uno dei quartieri popolari più poveri e meno noti, Bushwick è un film che non perde mai colpi, sapiente nelle dinamiche narrative e nell’approfondire mano a mano i personaggi, a conciliare fantasia e immaginazione con una lucida analisi politica del mondo moderno.