Bussano alla Porta: recensione del film di M. Night Shyamalan
M. Night Shyamalan torna al cinema con Bussano alla Porta, thriller/ horror apocalittico dai risvolti morali e molto umano. Con Dave Bautista e Jonathan Groff, in sala a partire dal 2 febbraio 2023.
Il titolo originale è Knock at the Cabin, in italiano Bussano alla Porta, dirige M. Night Shyamalan per un’uscita in sala prevista per il 2 febbraio 2023; una distribuzione Universal Pictures Italia. Con Dave Bautista, Jonathan Groff, Ben Aldridge, Nikki Amuka-Bird, Rupert Grint, Abby Quinn e Kristen Cui. Adattamento per il grande schermo del romanzo dell’americano Paul G. Tremblay La casa alla fine del mondo. Thriller/horror dai toni apocalittici e dal cuore emotivo, maledettamente emotivo. In estrema sintesi, un film di M. Night Shyamalan.
Il pubblico sa cosa aspettarsi da M. Night Shyamalan perché conosce la sua idea del mondo e del mezzo. Cinema di genere, dall’horror (The Sitxh Sense – Il sesto senso) alla fantascienza (Signs) al film in costume (The Village) al fumetto (Unbreakable – Il predestinato e non solo) e insieme la capacità di lavorare nel quadro delle convenzioni di un certo tipo di narrazione per offrire qualcosa di più strutturato e profondo. Vale anche per Bussano alla Porta. La visione che lo sorregge è visione d’autore, il piacere del racconto e i suoi shock meno. Questo per dire che il cinema di M. Night Shyamalan è fondato sul tentativo di mantenersi in equilibrio tra impulsi (autoriali e non) che arrivano da direzioni diverse. Ma la vocazione è sempre, comunque, popolare. Il film per funzionare non ha tanto bisogno di tavole rotonde, quanto piuttosto di gente in sala e popcorn.
Bussano alla Porta: una famiglia assediata, una scelta impossibile e la fine del mondo
Wen (Kristen Cui) è una ragazzina sveglia, probabile però che non capisca che tra le ragioni per cui papà Eric (Jonathan Groff) e papà Andrew (Ben Aldridge) hanno deciso di staccare dal trambusto quotidiano per andre a concedersi una parentesi relax affittando uno chalet in mezzo ai boschi, lontano da tutto, ce ne sono anche di poco piacevoli. Andrew e Eric sono sotto assedio, omofobo e intollerante, non solo nel mondo di fuori ma anche in famiglia, questa è la cosa più triste e arriva per mezzo di un paio di flashback di cui M. Night Shyamalan si serve per spezzare la tensione e rendere il quadro più definito e succulento per lo spettatore. Di tensione, in effetti, ce n’è parecchia.
Bussano alla Porta comincia sul serio nel momento in cui quattro sconosciuti, saltati fuori dal nulla, si presentano a Wen, Eric ed Andrew portando alla loro attenzione una “richiesta” impossibile. Il primo a farsi avanti è Leonard (Dave Bautista), che cerca subito di farsi benvolere da Wen. Ha premura di farle capire che non vorrebbe comportarsi nel modo in cui si comporta, ma non c’è scelta. Leonard compensa la stazza impressionante con un modo di fare gentile e a suo modo premuroso che rende la sua aggressione più inquietante. M. Night Shyamalan si diverte a prendere in contropiede le aspettative del pubblico. Leonard, Sabrina (Nikki Amuka-Bird), Redmond (Rupert Grint) e Ardiane (Abby Quinn) sequestrano i due uomini e la bambina, li immobilizzano, sono pronti a far ricorso alla violenza in caso di fuga. Ma sempre con educazione, gentilezza, tanta sincera empatia.
Quattro brave persone portate alle estreme conseguenze da una situazione estrema. La ragione di questo conflitto interiore, un insolito mix di delicatezza e violenza (non soltanto psicologica), è una posta in palio enorme. Il gioco, perché ha tutti i contorni di un gioco nonostante le conseguenze perverse, proposto dai quattro (attenzione al numero) assalitori ai Wen, Eric e Andrew, li costringe a una scelta impossibile, dolorosa e straziante, che li cambierebbe per sempre. Non si può tornare indietro. Se invece i tre rifiutano, è la fine del mondo, letteralmente. Si ferma l’apocalisse solo scegliendo. Un tema chiave di Bussano alla Porta è la scelta.
In Bussano alla Porta, ogni scelta nasconde un sacrificio
L’apocalisse immaginata da M. Night Shyamalan ha un volto umano, umanissimo. L’aspetto più gratificante di Bussano alla Porta è una regia che armonizza meccanica di genere (shock, morti violente, suspense) e risvolti emozionali. Di che pasta è fatta la fine del mondo? Prima di tutto di esteriorità, un minestrone di suggestioni catastrofiche condito di disastri aerei, maremoti e invisibili virus. Shyamalan saccheggia il repertorio recente (e non solo) di brutti ricordi per offrirci l’affresco inquietante di una fine prossima che in realtà qualche avvertimento ce l’aveva pure mandato, solo eravamo troppo impegnati a nutrire il nostro egoismo per accorgercene. I riferimenti all’attualità non vanno sopravvalutati, piuttosto contestualizzati: il Covid è un fantasma ingombrante per Bussano alla Porta che però non è un film sulla pandemia. Meglio, non solo. Il suo messaggio è morale e sentimentale a un tempo e anche molto universale.
E qui si torna all’apocalisse umanizzata e al peso della scelta. Tutti, nel film, sono portati a misurarsi con l’impatto spiazzante e irreversibile di una scelta. Vale per i quattro “assalitori”, lacerati da impulsi contraddittori e istigati da mistiche visioni che in fondo potrebbero anche ignorare. La tensione è tutta sul contrasto tra la dolcezza innata e la fisicità imponente di Leonard (Dave Bautista), gigante insieme buono e violento; per l’attore americano, il film vale anche come tentativo di accreditarsi come qualcosa d’altro, più sfaccettato e maturo, rispetto al passato. Il fardello della scelta pesa soprattutto sui due padri e la bambina. Potrebbero ingnorare il mondo in fiamme e vagare sulla terra disabitata, intatti. Forse lo faranno, perché il bivio morale che li inchioda alle loro responsabilità, uno dei tre deve andare perché il mondo sia salvo, è tragico.
Precarietà esistenziale e dove trovarla. Per Eric, Andrew e Wen, essere un buon padre, essere una buona figlia, significa capire che non si vive da soli, che scegliere vuol dire anche misurare l’impatto del proprio egoismo sull’egoismo altrui. Non si passa indenni attraverso la vita. Tutto è in bilico, qui sta il gancio forte con l’attualità. La famiglia di Bussano alla Porta è quanto di meno tradizionale si possa immaginare, due padri, una figlia adottiva. Devono scegliere se sacrificarsi o meno per il bene di un mondo che non ha fatto altro che ferirli. Il che aggiunge ulteriore benzina (morale) sul fuoco.
Paura, scelta, famiglia e sacrificio. Il cinema di M. Night Shyamalan in generale, le suggestioni horror/morali/spirituali di Bussano alla Porta, in particolare, esprimono il tentativo di scavare dentro le possibilità del genere per tirare fuori qualche verità illuminante sulla condizione umana. Senza dimenticarsi del divertimento. L’immaginario biblico-apocalittico è schizzato nei tratti essenziali senza approfondire troppo, ma forse è inevitabile; il contrario avrebbe appesantito un film che si fa un punto d’onore nell’arrivare a dama il più rapidamente possibile. L’horror truculento è efficace, il thriller meno. I terrificanti risvolti psicologici della casa invasa, il lavoro claustrofobico sugli spazi e la tensione che ne deriva, qui sarebbe servito davvero un Polanski della paura, necessitavano di un tocco più aggressivo, di una regia più disinvolta e creativa. L’istinto autoriale di M. Night Shyamalan ha girato un po’ a vuoto.