RomaFF12 – C’est la vie: recensione del film di Olivier Nakache e Éric Toledano
C'est la vie (Le Sens de la fête) è una commedia francese dei registi Olivier Nakache e Éric Toledano, celebri per aver diretto Quasi Amici
C’est la vie (Le Sens de la fête) è una commedia francese dei registi Olivier Nakache e Éric Toledano, celebri per aver diretto Quasi Amici (The Intouchables). C’est la vie, presentato durante la 12 Festa del Cinema di Roma, è interpretato da Jean-Pierre Bacri, Suzanne Clément, Gilles Lellouche e Jean-Paul Rouve.
C’est la vie racconta la travagliata e comica avventura di Max, il direttore di un’agenzia matrimoniale, alle prese con il suo team nella gestione di un matrimonio in una meravigliosa villa del XVI secolo. Ma per Max, abituato a convivere con problemi dell’ultimo minuto e cambi di programma, sarà una sfida ardua portare a termine questo matrimonio in grande stile, poiché il suo team dovrà affrontare alcune piccole sorprese e tanti colpi di scena durante lo svolgimento della serata, ma ripresi e fronteggiati sempre con grande ironia e un pizzico di inventiva.
Questo duo registico composto da Olivier Nakache e Éric Toledano sono una vera e propria forza trainante della commedia, che sembrano possedere una formula vincente, che ancora una volta sorprendono per la qualità della propria commedia, ritraendo la contemporaneità con il loro taglio comico, sagace, un dramma giocoso che racconta di molti fardelli che attanagliano il mondo di oggi, dal lavoro, alla diseducazione sentimentale, con uno stile preciso, personale che risulta molto più esemplificativo di un saggio fenomenico.
C’est la vie si impone come un film corale, in cui Max ha una voce più udibile, essendo colui che dirige dall’interno il processo di preparazione del matrimonio, o meglio tentando di dirigerne le dinamiche interne. Ed è proprio questo il carattere interessante della pellicola, permettere allo spettatore di inserirsi in un mondo sconosciuto, fatto di precarietà, di fallimento, di agitazione in cui tutto al di fuori di esso deve essere perfetto, in cui tutto è predeterminato. Tutto ciò che mostra C’est la vie è come spesso le cose non vadano assolutamente nel modo giusto, e quanto si possa assimilare e rendere al meglio anche le esperienze più desolanti, riuscendo a trasformare un disastro dopo l’altro in una commedia umana spassosissima, rasserenata da un sarcasmo asciutto e spesso goliardico.
C’est la vie è tempestato da momenti di tensione, cambi di programma, litigi tra camerieri, band con uno spiccato senso della musica, un futuro marito molto esigente, e un team alle prese con un matrimonio in cui tutto deve necessariamente essere perfettibile, in cui la cui carica comica non si esaurisce mai. Questa armata Brancaleone con la sua spensieratezza, il chiasso e l’imbarazzo rendono la pellicola una lucida retrospettiva della nostra società, i cui caratteri si possono leggere singolarmente, separatamente, pur restando un racconto corale che si lascia apprezzare sia nella sua specificità che nella sua universalità.
Effettivamente lo spaccato che viene tracciato è infingardo, scanzonato e coraggioso, la cui forza è nelle mani dei personaggi, della sceneggiatura che è brillante, ammirevole, anche eroica perché no, poiché ritrae gli eroi di tutti i giorni, coloro che lavorano, si sacrificano, cercano di restare a galla nonostante i cambiamenti, la tecnologia, che rende molto spesso la mano dell’uomo sempre più sacrificabile, sublimando i meravigliosi difetti che dividono l’uomo, rendendolo un essere sia nobile che livoroso.
C’est la vie, come accade nella vita, non rassomiglia ad un sepolcro imbiancato, dietro la sua apparenza sprezzante non nasconde brutture o false morali, cosa in cui spesso la commedia inciampa. Il film non si conclude con la soluzione ad ogni dilemma, ma ogni accadimento, ogni complicazione semplicemente lo si prende con filosofia.
I due registi riprendono le frenesie, le agitazioni di questo team burrascoso, che è un mondo, un metateatro traboccante di personaggi secondari, di piccole comparse che rendono prezioso e chiaro il senso della festa. Ed è un teatro formidabile, che con i suoi atti, le sue gallerie, i suoi dietro le quinte, il suo palcoscenico, le sue battute, cerca di tenersi in piedi, dovendosi fronteggiare con un pubblico sempre diverso, quello che partecipa al matrimonio, il pubblico in sala e gli sposi, che si trovano nel mezzo di una farsa in cui sono complici, attori e che restano all’oscuro di molte improvvisazioni della compagnia: ad esempio quando, in attesa del piatto principale, vengono serviti dei fagottini salatissimi volti a riempire lo stomaco degli invitati, un gag superlativa.
Gli attori principali sono un tutt’uno, vengono proposti assieme, nessuno stona o è lasciato al caso, da Bacri a Vincent Macaigne, a Gilles Lellouche. Tutto ciò rende la commedia di Nakache e Toledano un esempio vero della comicità che sa colpire nel segno, che non stanca mai, che non è mai ridondante, presentata con una leggerezza apprezzabile pur parlando e trattando spesso tematiche rischiose o con un senso, seppur celato, di grande impatto sociale.