Cam: recensione del film Netflix di Daniel Goldhaber
Un'avvincente e respingente rappresentazione del mondo in cui viviamo in cui tutti i comparti tecnici e artistici contribuiscono alla buona riuscita.
Cam è un film del 2018 diretto da Daniel Goldhaber e da lui stesso scritto insieme a Isa Mazzei e Isabelle Link-Levy. La protagonista del film è Madeline Brewer (già nota per le sue partecipazioni a Orange Is the New Black e The Handmaid’s Tale), che dà corpo e volto a una camgirl coinvolta in un incubo virtuale sempre più inquietante e pericoloso. Dopo le presentazioni al Fantasia Film Festival e al Fantastic Fest, Cam è disponibile su Netflix dal 16 novembre.
Alice Ackerman (Madeline Brewer) è una sexy e abile camgirl, che con lo pseudonimo di Lola si guadagna da vivere attraverso piccoli spettacoli hard. Grazie anche alla sua furbizia nel miscelare l’eros con ben congegnati momenti di paura e orrore all’interno dei suoi spettacoli web, Alice si guadagna la stima e le generose donazioni dei suoi spettatori, scalando così rapidamente la classifica di gradimento del sito web per cui lavora. L’apparentemente inarrestabile ascesa di Alice viene però bruscamente interrotta nel momento in cui si trova misteriosamente estromessa dal proprio account. La ragazza scopre inoltre che una ragazza identica a lei si sta esibendo al posto suo con un altro profilo, replicando gli spettacoli da lei inscenati.
Alice precipita così in un vortice di paura e paranoia, trovandosi così costretta a fare i conti con la propria famiglia, ignara della sua particolare attività, e a diffidare delle colleghe e degli affezionati clienti Tinker (Patch Darragh) e Barney (Michael Dempsey).
Cam: la Blumhouse fa centro anche su Netflix
Dopo essersi imposta nel cinema di genere mainstream contemporaneo, sfornando un’impressionante serie di successi commerciali (fra i tanti citiamo Split, Get Out e le saghe di Insidious e La notte del giudizio), la Blumhouse fa capolino anche su Netflix, centrando con Cam un prodotto solido e convincente, destinato a catalizzare l’attenzione degli abbonati al celebre servizio di streaming. Daniel Goldhaber è abile a mettere in scena le ossessioni, le perversioni e le contraddizioni della nostra società sempre più virtuale, dando vita a un racconto che affonda le proprie radici in serie antologiche costantemente in bilico fra realtà e fantasia come Ai confini della realtà e la più recente Black Mirror e spazia con disinvoltura dall’eros alla più opprimente e soffocante tensione, condendo il tutto con improvvisi e notevoli spunti più sanguinolenti.
Cam si addentra fra le pieghe di un mondo sempre più fittizio e inconsistente, basato sull’ossessiva ricerca di un’illusoria popolarità e sull’ossessiva spettacolarizzazione di se stessi, mettendo intelligentemente in mostra i due lati di una star virtuale (nello specifico una ragazza che si spoglia per soldi e per aumentare il suo seguito), ovvero quello finto e patinato percepito del pubblico, fatto di sguardi ammiccanti e di luci artefatte, e quello più intimo e privato, fatto di solitudine, di impossibilità di affermare se stessi, persino con i genitori, e di una crescente sfiducia nel prossimo.
Una rappresentazione della realtà decisamente credibile e convincente, che il regista plasma a proprio piacimento in un crescendo di tensione, paranoia e alienazione, sfruttando abilmente i lati più oscuri della tecnologia che governa le nostre vite, ovvero l’anonimato, l’impossibilità di fidarsi di chi conosciamo solo virtualmente, la minaccia di furto di identità e/o di avatar, il costante pericolo della messa alla berlina delle nostre fragilità e dei nostri segreti.
Cam gode della sorprendente prova di Madeline Brewer
Tutti i comparti tecnici e artistici contribuiscono alla riuscita di Cam. Dalla magnetica fotografia, che miscela le luci abbaglianti degli spettacoli di Lola all’oscurità che avvolge il suo privato, alla regia di Daniel Goldhaber, che riesce nell’intento di sfruttare il gergo tipico di internet e delle chatroom, fatto di emoticon e frasi abbreviate, senza mai annoiare o spaesare lo spettatore, passando per un sonoro che ricostruisce la straniante atmosfera dei portali erotici e sottolinea i passaggi più cupi. Fondamentale inoltre l’apporto alla sceneggiatura di Isa Mazzei, capace di infondere, grazie alla sua reale esperienza come camgirl, lo stordente sdoganamento della depravazione e delle più inimmaginabili pulsioni che albergano l’animo umano, tipico delle chat erotiche, ma anche l’improvvisa inquietudine nel momento in cui il confortevole velo di Maya del web viene squarciato dalla realtà.
Doveroso inoltre un plauso alla sorprendente performance di Madeline Brewer, che conferma le ottime impressioni suscitate in precedenza e si rivela una delle più talentasse giovani interpreti in circolazione. In un ruolo decisamente difficile e ricco di sfaccettature, l’attrice statunitense si rivela un vero e proprio valore aggiunto di Cam, rendendo magistralmente diversi risvolti della personalità di Alice, come l’esuberanza nel momento della sua ascesa virtuale, il suo misurato distacco nell’approcciarsi al prossimo nella vita reale, la sua crescente irrequietezza nella scoperta di una copia di se stessa e la totale disperazione che la assale nell’ultimo atto.
Cam mette in scena un’avvincente e respingente rappresentazione del mondo in cui viviamo
Cam si rivela dunque un conturbante e al tempo stesso minaccioso viaggio fra le pieghe dell’eros e della virtualità, capace di tenere con il fiato sospeso lo spettatore con un mistero di difficile soluzione e lasciando efficacemente aperte diverse porte, da quella sul paranormale alla pista hacker. Fino agli ultimissimi minuti, entriamo così in empatia con il calvario fisico ed emotivo di Alice, sempre più sola e alienata nel progressivo svelamento della maschera da lei stessa costruita.
Il finale lascerà probabilmente con l’amaro in bocca lo spettatore in cerca di risposte precise ed esplicite, ma il senso di questo riuscito film sta anche nell’invito a farci riflettere sull’impossibilità di controllare il fasullo mondo virtuale e di comprendere totalmente i meccanismi di una creatura misteriosa e preoccupante, che ogni giorno continuiamo ad alimentare con la nostra sete di una fittizia popolarità. Anche se non ci spogliamo davanti alla telecamera e non aiutiamo sconosciuti a sfogare la loro depravazione, comprendiamo così che in fondo Alice siamo noi, che diamo continuamente in pasto al prossimo la parte migliore della nostra personalità e le nostre più importanti qualità, in cerca di un’effimera approvazione che cela una realtà ben più tetra e desolante. Ed è questo dunque il lascito più importante di un ottimo film di genere, avvincente e respingente proprio perché racconta uno scomodo aspetto della nostra stessa vita.