Carnivàle: recensione
“Prima dell’inizio, dopo la grande guerra del Cielo contro l’Inferno, Dio creò la Terra, e ne concesse la sovranità a quella scaltra scimmia che chiamò Uomo. E per ogni generazione nacque una creatura della Luce e una creatura della Notte, ed eserciti sterminati lottavano e perivano in nome dell’antica guerra tra il Bene e il Male. Un’epoca incantata, l’epoca dei grandi, un’epoca di eccezionale crudeltà, un’epoca eterna. Fino al giorno in cui un falso sole esplose sulla Trinità e il prodigio abbandonò l’uomo lasciandolo in balia della ragione.”
Con questo monologo recitato da Michael J. Anderson, ha inizio “Carnivàle“, una delle migliori serie targate HBO, ma anche una delle più sfortunate; lo show, infatti, durò solo due stagioni.
“Carnivàle” racconta della guerra tra il Bene e il Male, presentandoci due personaggi all’apparenza agli antipodi, ma legati da un destino comune: Ben Hawkins, giovane ragazzo con un potere nascosto che, dopo aver perso la madre e la casa, trova un lavoro e un rifugio in un circo; e Padre Justin, prete idealista con una grande voglia di farsi sentire e di imporsi.
La serie non è però solo una lotta tra due fazioni; senza svelare troppi dettagli della trama, “Carnivàle” è una storia di amicizia, amore e lealtà; ventiquattro episodi con elementi soprannaturali, pieni di dramma ma che riesce anche a regalare una risata nel momento più giusto, uno show emozionante e capace di mettere i brividi.
Ben e Justin sono i protagonisti della storia, ma il punto di forza della serie è stato quello di riuscire a creare diversi personaggi secondari memorabili, con le proprie storie e i loro problemi: a partire da Sofie, cartomante che vive con la madre catatonica; passando per i drammi familiari vissuti da Rita Sue e Felix; fino ad arrivare a Jonesy, ex giocatore di baseball; e Samson, il misterioso capo del circo, che riceve gli ordini dalla Direzione, che nessuno ha però mai visto.