Catching Feelings: recensione del film di Kagiso Lediga
Un film ricco di spunti che non riesce però a sfruttare pienamente.
Kagiso Lediga dirige e interpreta Catching Feelings, film del 2017 disponibile su Netflix che racconta in toni da commedia intellettuale il rapporto di una coppia sposata a confronto con l’età che avanza e con altre coppie nel pieno del fiorire delle loro passioni. La commedia sudafricana firmata da Lediga affronta la relazione di Max e Sam in un momento non tanto di crisi quanto di stasi, uno di quelli in cui ci si appresta a decidere quale sarà il prossimo passo da fare e quale piega far prendere al proprio futuro. Le due personalità dei compagni di vita si scontrano inesorabilmente, separate dal rigido idealismo di lui e dalla vivacità quasi infantile di lei e continuare a camminare fianco a fianco non sembra più così semplice.
In Catching Feelings tutti gli spunti di riflessione sono sopraffatti dall’urgenza stessa di doverne parlare
Kagiso Lediga dirige, interpreta e scrive un film che, nonostante cerchi di dare vita a una situazione d’insieme, di fatto parla quasi esclusivamente di Max, il protagonista, in cui si sommano tutte le riflessioni e i messaggi che Catching Feelings persegue. Con l’accento ibrido tipico della terra sudafricana, proprio il professore propone fin da subito la problematica razziale, che viene ripresa lungo tutto il corso del film. Non solo da un punto di vista di aggressioni razziste, quanto piuttosto di divisione sociale che persiste nei decenni, arrivando a una totale commistione con il dato sociale: basti pensare al siparietto in cui la coppia viene fermata dalla polizia dopo una cena dall’alto tasso alcolico. In quel frangente, con brevi scambi di battute, i poliziotti riescono a inquadrare in maniera netta il carattere di Max e il suo modo di portare avanti le sue convinzioni trovandosi di fatto in una situazione privilegiata. Il dato linguistico tanto dibattuto anche all’interno di questa sequenza viene anche ribadito più volte, portando l’attenzione sulle dinamiche culturali che derivano direttamente da un’occupazione straniera che per anni ha dominato, se non addirittura provocato, le storture sociale che i protagonisti affrontano nel mondo contemporaneo.
Ma anche il carattere di Max stesso viene messo in discussione, con quel suo modo di essere molto serio eppure alla costante ricerca quasi ridicola di essere giovane, a partire dall’atteggiamento con gli studenti. L’ostinazione con cui il professione si pone allo stesso livello dei suoi alunni lo rende vulnerabile e patetico, dal voler essere chiamato solo per nome alle continue lezioni sull’identità (nera e sudafricana) a scapito della contemporaneità, dall’ebbrezza dell’alcool al voler provare nuove droghe.
Questi e molti altri sono gli argomenti citati dal film, ma posti in maniera ridondante senza un’opportuna evoluzione. Tutti gli spunti di riflessione vengono presentati sullo schermo con ironia non troppo convincente, sopraffatti da un’urgenza di parlare di questi aspetti della realtà contemporanea che prende il sopravvento, di fatto soffocando ogni possibile sviluppo e speculazione a proposito proprio di queste tematiche. Da un lato, quindi, si mette tanta carne sul fuoco e si assomma tutta questa sostanza in un unico personaggio, mentre le persone che lo circondano fungono solo da spunti narrativi per farlo emergere o da specchi che riflettono la luce di questa unica persona. Dall’altro lato, però, tutte le possibilità di veder fiorire questi spunti tematici rimangono vane speranze, nel tentativo di dar vita a un’ironia che non spicca mai il volo. Peccato, il film rimane decisamente sotto tono rispetto alle aspettative e alle possibilità, eppure gli intenti e le potenzialità sono tutte presenti.