Cats – recensione del film di Tom Hooper
La recensione di Cats, il nuovo musical di Tom Hooper con Idris Elba, Taylor Swift, Jennifer Hudson, Judi Dench, Jason Derulo e Ian McKellen.
Tom Hooper è un regista più che affermato. Ha ottenuto il consenso mondiale con il successo de Il discorso del re (2010), per il quale ha vinto quattro Oscar, e da lì non si è più fermato. Tra le altre cose è un inglese doc, ha lavorato con grandi attori ed è un fan dei musical, genere con cui ha anche dimostrato di saper sufficientemente trattare con l’ottimo successo de Les Misérables. Due fattori alla luce dei quali nessuno si è sorpreso più di tanto quando ha annunciato di voler girare l’adattamento cinematografico di Cats, un must per tutti i rampolli nati sotto il vessillo della regina.
Il casting è di quelli importanti: Judi Dench, Idris Elba, Jennifer Hudson, Taylor Swift, Rebel Wilson, Ray Winstone e addirittura sua maestà Ian McKellen; per non parlare dei quasi 100 milioni di budget e, ciliegina sulla torta, la presenza dietro la colonna sonora di Andrew Lloyd Webber, il compositore del musical originale. Notizie che potevano solo lasciare ben sperare riguardo la riuscita di un progetto che sembrava sempre più confezionato ad hoc.
È bastata la prima immagine del trailer ad annullare tutto.
Cats – la trama dietro al musical
La gattina Victoria (Francesca Hayward) viene abbandonata in un vicolo di un malfamato quartiere di Londra, dove fa la conoscenza dei Jellicle, un folto gruppo di felini domestici nel bel mezzo dei preparativi per l’appuntamento annuale più importante e atteso: il concorso al cospetto del loro capo, la vecchia Old Deuteronomy (Judi Dench). Si tratta di una serata speciale, dato che l’evento ha come protagonista una competizione riservata solo ai migliori artisti tra i gatti di Londra e il premio è quello dei più ambiti: la possibilità di ascendere al paradiso Jellicle, l’Heaviside Layer, unica strada per la rinascita.
Purtroppo per loro però il premio è nel mirino anche del perfido Macavity (Idris Elba), un gatto magico, malvagio e senza scrupoli, che farebbe qualsiasi cosa per battere i suoi avversari della gara, persino farli sparire.
Cats: un adattamento sbagliato
Cats è stato distrutto da praticamente l’intera critica internazionale, la quale non ha salvato nessuna delle sue componenti, in certi casi neanche approfondendo o addirittura analizzando e preoccupandosi dell’originalità della stroncatura piuttosto che della motivazione.
D’altro canto Hooper non ha fatto nulla per evitare che ciò accadesse, anzi, sembra quasi essersi di proposito avventurato in un sentiero tragicomico il cui unico punto di arrivo fosse il suicidio. E così è: il film è brutto ed è sbagliato, per diversi motivi, che meritano di essere approfonditi, perché, che ci crediate o meno, un’idea ragionata dietro a questo progetto c’era.
Cats del 2019 è l’adattamento dell’omonimo musical del 1981, tratto da Il libro dei gatti tuttofare di T.S. Eliot, una raccolta di poesie che risale all’anno 1939. Con il tempo il lavoro di Webber è diventato un classico del teatro inglese, la cui forza è da ricercare non solo nella componente musicale quanto nelle coreografie, nelle scelte dei costumi e, in generale, nella parte visiva dello spettacolo, elemento essenziale per il sorgere di un coinvolgimento emotivo che, se fosse solo deputato ai brani sarebbe più difficile da individuare. Un’opera collettiva dunque, all’interno della quale l’inserimento di una performance in solitaria, come quella di Memory, riesce ad esaltare ancora di più. Da qui Hooper è probabilmente partito.
La sua idea è stata quella di riportare nel suo adattamento la forza collettiva dei performers e cercare di restituire al pubblico quella parte visiva caratteristica che tanto ha fatto il successo dello spettacolo in teatro, per poi riuscire anche lui a riservare alla canzone più famosa e trasportante una porzione privata, quasi una bolla fuori dal contesto. Intenzione che, questa si, riesce in pieno. Il suo errore (o orrore) è stato non tenere conto che stava lavorando ad un adattamento “cinematografico”, il che presuppone un mezzo che ha delle sue regole da rispettare. E per più di una buona ragione.
Cats e la motion capture ibrida e artificiale
Tra gli incredibili strafalcioni che ne sono derivati c’è, in primis, la tanta vituperata motion capture: ibrida, artificiale, irricevibile per lo spettatore, dannosa per la storia e, a tratti, veramente malfatta. La scelta suicida più evidente, tra l’altro corretta dopo una prima versione mostrata in cui i personaggi mostravano fattezze ancora più imbarazzanti. A peggiorare la messa in scena c’è una dimensione teatrale trapianta invasivamente nel media cinema, non tenendo conto delle proporzioni e dello spazio in cui la storia (storia?) prende vita, elemento che contribuisce alla sensazione estraniante che si prova per quasi tutto il minutaggio, già ampiamente compromessa dai testi dei brani malsupportati e da una regia sbagliata.
Come fu infatti nel suo precedente musical, anche in Cats Hooper opta per una regia del primo piano, cercando di cavalcare delle onde emotive che dovrebbero provenire dalla presunta credibilità dei personaggi e dal trasporto dei brani, finendo invece con il mortificare tutto l’apparato coreografico che ha deciso di trasportare, ucciso da un montaggio che frammenta ogni possibile sprazzo di visione più ampia sulla scena e che restituisce al pubblico solo una confusa alternanza di movimenti.
Tra le cose da salvare, oltre alla performance di Memory della Hudson, c’è la scena con protagonista il Gus di McKellen, la cui immensa bravura permette lui di arrivare allo spettatore, anche da dentro l’involucro felino-umanoide in cui si è deciso di sigillarlo. I due momenti hanno nel segreto del loro successo la medesima cosa: riescono a far dimenticare allo spettatore il resto del film.
Cats è nelle sale italiane dal 20 febbraio 2020 con Universal Pictures.