C’era una volta un’estate: recensione del film con Sam Rockwell
C’era una volta un’estate è una commedia del 2013 scritta, diretta, prodotta e interpretata da Nat Faxon e Jim Rash, entrambi premiati giusto un anno prima con l’Oscar per la migliore sceneggiatura originale di Paradiso amaro. Il film vede la partecipazione di attori affermati nel panorama indie americano (e non solo) come Steve Carell, Toni Collette, Sam Rockwell, Allison Janney, Amanda Peet e Rob Corddry, che affiancano il protagonista Liam James in un coming-of-age nostalgico e malinconico, passato ingiustamente inosservato nel nostro Paese.
Duncan (Liam James) è un adolescente timido e introverso, che vive un rapporto difficile e conflittuale con Trent (Steve Carell), il nuovo autoritario compagno della madre Pam (Toni Collette). Duncan, Pam Trent e la figlia di quest’ultimo Steph (Zoe Levin) si spostano a Cape Cod per la villeggiatura estiva, dove il ragazzo è isolato e in chiaro disagio. La svolta per Duncan arriva grazie alla conoscenza di Owen (Sam Rockwell), goliardico gestore di un parco acquatico che gli offre un lavoretto estivo e soprattutto la sua complice amicizia. All’interno del gioioso e amichevole ambiente del parco, Duncan scopre una valvola di sfogo dall’arroganza di Trent e dall’arrendevolezza della madre, ritrovando progressivamente buon umore e fiducia in se stesso.
C’era una volta un’estate: alla scoperta del mondo degli adulti e di se stessi
La recente ondata di commedie indipendenti americane in orbita Sundance, cominciata con l’acclamato Little Miss Sunshine, trova con C’era una volta un’estate una nuova meritevole espressione, che arricchisce un sottobosco fatto di pregevoli pellicole a basso costo (fra le altre segnaliamo Quel fantastico peggior anno della mia vita, Noi siamo infinito e 5 giorni fuori), troppo spesso ingiustamente e ciecamente sottovalutate dalla nostra distribuzione. Pur mutuando dal seminale road movie di Jonathan Dayton e Valerie Faris il concetto di famiglia disfunzionale e due dei protagonisti (Steve Carell e Toni Collette), C’era una volta un’estate si avvicina per tematiche e ambientazione al sottovalutato Adventureland, con il quale condivide l’utilizzo di un parco giochi come luogo isolato dal tempo e dallo spazio in cui perdersi e ritrovarsi.
Il parco acquatico di Cape Cod diventa per Duncan un rifugio sicuro e ovattato in cui isolarsi da un mondo che lo vede sempre fuori posto e fuori tempo, e da un patrigno severo e borioso, che mina continuamente la sua autostima con crudeli provocazioni e insostenibili paternali. Gran parte del merito è di Owen, che, anche grazie alla solita ottima performance di Sam Rockwell e alla sua fine caratterizzazione, è per distacco il personaggio più riuscito della pellicola. Con la sua incorreggibile infantilità e la sua incrollabile umanità, che lo portano con la stessa naturalezza a passare ore giocando a Pac-Man e a gestire la struttura come una vera e propria famiglia, l’uomo diventa il ponte perfetto fra la fanciullezza di Duncan e quel mondo degli adulti che lo respinge e lo maltratta continuamente.
C’era una volta un’estate riesce a compensare l’ingenuità e la debolezza di alcuni passaggi grazie a un sapiente lavoro di costruzione dei personaggi
In un già visto ma funzionale ribaltamento della morale e della società, il diverso diviene la normalità, mentre il mondo degli adulti borghesi svela progressivamente la sua imperfezione e la sua ipocrisia. La stagione apparentemente più felice e sfuggente di tutte diventa così metafora di un passaggio doloroso, irreversibile e necessario dalla spensieratezza dell’infanzia alla maturità, in cui a volte è necessario sgomitare e alzare i toni per affermare la propria voce interiore e trovare il coraggio per tuffarsi verso il futuro.
Pur muovendosi all’interno di strade già ampiamente battute, fra famiglie allargate e sindromi di Peter Pan C’era una volta un’estate riesce a compensare l’ingenuità e la debolezza di alcuni passaggi grazie a un sapiente lavoro di costruzione dei personaggi e a dialoghi semplici ma efficaci. Paradossalmente, la sceneggiatura di Nat Faxon e Jim Rash (che ricordiamo anche come l’irresistibile Preside Pelton di Community) trova un suo punto di forza nel non detto, azzeccando la scelta di limitarsi a suggerire e non esplicitare alcuni risvolti della trama, come il passato di Owen o il rapporto di Duncan con il padre. Particolarmente azzeccata inoltre la scelta di un finale ambiguo, sfumato e per certi versi irrisolto, che racchiude in sé il significato di questo brillante racconto di formazione, con il suo andare avanti in direzione contraria (il titolo originale del film è proprio The Way, Way Back).
C’era una volta un’estate racconta con umorismo, dolcezza e un pizzico di malinconia uno dei passaggi più difficili della vita
Oltre al già citato Sam Rockwell, a convincere sono anche il protagonista Liam James e l’ottimo Steve Carell, che conferma la sua poliedricità come interprete nei panni di un personaggio detestabile e spregevole, quasi antesignano di quello da lui impersonato nel successivo Foxcatcher. Buone anche le prove dei non protagonisti (fra i quali gli stessi Nat Faxon e Jim Rash) e di Toni Collette, alle prese con un personaggio vicinissimo a quello da lei interpretato nel già menzionato Little Miss Sunshine. Efficace anche la colonna sonora, che presenta il giusto mix fra brani anni ’70/’80 e musiche originali.
C’era una volta un’estate racconta con umorismo, dolcezza e un pizzico di malinconia uno dei passaggi più difficili della vita, senza risparmiare qualche stoccata agli adulti, presentati come persone troppo spesso preoccupate più dei loro (sporchi) affari che di creare una connessione con i più giovani. Un prodotto ben congegnato e realizzato, superiore alla media delle più recenti commedie a stelle e strisce.