Challengers: recensione del film di Luca Guadagnino
Tre ragazzi, il tennis, l'attrazione per un amore senza regole. Un drammatico interpretato da Zendaya, Mike Faist, Josh O'Connor; diretto da Luca Guadagnino; scritto da Justine Kuritzkes
Una partita di tennis per definizione si suddivide in punti, set e game. Un set è fatto da un minimo di sei game; per il vantaggio di un set bisogna averne in avanti almeno due rispetto all’avversario; per vincerlo bisogna aggiudicarsi i punti 15, 30 e 40; in ultimo, quello decisivo, per avere l’intera partita. In Challengers entrano in gioco i sentimenti e l’innamoramento per uno sport e una competizione; i sei game sono sottoposti a “tassazione” a prescindere dai ruoli del vincente o perdente, trascurando il ruolo da eroe in un paradossale gioco a tre, fuori da “schiavitù” preconfezionate, dentro una linearità tale da esorcizzare un “reclamizzato”, inesistente scandalo.
Un modo, un gioco, per rendere espliciti paradossi superati, in un lavoro, Challengers, che porta la firma di Luca Guadagnino.
In Challengers una trama al meglio di tre X sei set
Seguiamo il ritmo di una partita, mettendo dentro anche i set break, violazioni e combinazioni scomposte e ricomposte. Tishi Duncan, Art Donaldson, Patrick, tre paladini del tennis universitario aspiranti alle corsie sportive internazionali: primo set. Amicizia, attrazione, incontro e scelta: due ragazzi uniti dalla stessa passione e dalla stessa bravura; una ragazza, la migliore del campus, bella, attraente e una posta in gioco, attratti senza delimitare perimetri amorosi, senza insinuazioni ed espliciti compiacimenti: secondo set. Parallelismo e ritorni temporali: un infortunio, una coppia che scoppia e l’altra che si crea sulle sue rovine, una figlia, continui allenamenti, leadership in evoluzione, l’ombra di un escluso che persevera a rientrare in gioco: terzo set. La gara, l’uno contro l’altro, il podio: quarto set. Una carriera interrotta, un talento ridotto a conservarsi in un eccesso maniacale, un uomo e l’ombra dell’altro, scommesse, perdente e vincente, due che vanno al passo di tre: quinto set. Un accordo, umiliazione e compiacimento, stanchezza e sublimazione, mai due senza tre: sesto e ultimo set.
I tecnicismi cinematografici di un film che sorpassa la sua stessa sceneggiatura
Challengers impone una ricerca e un’analisi cinematografica che non può trascurare la temporalità e i tempi narrativi che attribuiscono al film una particolare caratterizzazione; siamo continuamente mossi da un replay e uno stop, in una partita che sembra essere l’ultima, non per semplice metafora ma perché i tre protagonisti, masochisti nella stessa misura quanto egocentrici, mollano la presa e tirano un ultimo sospiro di sollievo dopo innumerevoli affanni reciproci, contorti fra loro e rivolti l’uno all’altro, dove “lei” è centro, origine e fine. “L’intrigo” alla Bertolucci maniera fatto di sentimentalismo fino ad un esaurimento amoroso predominante, sviene. Qui, invece, non vi è alcuna connessione sacrale tra le labirintiche attrazioni e le rivelazioni che “affliggono” l’atto cinematografico.
In Luca Guadagnino prevale l’accenno, mai un senso concreto che ne detti regole e comportamenti.
Challengers è un film che merita uno studio dal punto di vista scientifico, psicologico e di scrittura. È un film che evidenzia un lavoro di montaggio invadente ed evidente in un continuo rimuovere e poi aggiungere attraverso processi che giungono dal passato e costruiscono la realtà che tarda a farsi percepire, fino al momento in cui il sentiero lessicale si aggroviglia a forme di una lampante inquietudine dovuta a una postura “compressa” a causa di una narrazione asciutta.
Luca Guadagnino è ,chiaramente, entrato nell’olimpo hollywoodiano; il suo, uno sguardo attento nei confronti di tematiche alle quali la massa italiana era, fondamentalmente, impreparata. “Chiamami con il tuo nome” ha indubbiamente disegnato un “viaggio” sociale ancora inedito, fuori dalle comodità della consuetudine.
Challengers non narra di un amore poligamo, non racconta il sesso, non è neanche un cinema di cui oggi si ha necessità; è un bisogno di distrazione, una formula che rimanda ad un contesto sportivo raffinato, dentro un immaginario intenzionale fuori da realtà contingenti.
Il tennis come schema e regola del fascino, della clandestinità dei rapporti, della sessualità era già stato sdoganato in tante modalità dal videoclip confezionati nelle epoche di MTV, ancor prima da Woody Allen o dalle sceneggiate in camere d’albergo di una scatenata Loredana Bertè; e allora perché Challengers nell’aprile del 2024 eccita e accende nuovamente tanta curiosità?
L’eccellenza di Challengers è tutta nella recitazione
È giusto evidenziare la capacità magistrale del regista nella coordinazione di tre attori come Zendaya,Mike faist e Josh O’Connor; è qui che il valore sportivo diventa una partita autenticamente cinematografica; sono chiare le dinamiche tra i tre protagonisti, quasi come fossero parte di un’installazione e ne sentissero la responsabilità morale. La “prova” alla quale l’attore si sottopone non è la “parola”, ma il senso che deriva dai comportamenti, dagli atteggiamenti che hanno costruito tre personalità diverse, eccellenti tanto da avere difficoltà a distinguere la finzione da una dimensione più documentaristica, riportandoci a terra solo quando la musica (lavoro firmato dai produttori discografici Trent Reznor e Atticus Ross) interviene nelle lacune, nei vuoti linguistici di un film che non punta ad un’assuefazione culturale quanto a concedersi allo spettatore di sex nouvelle di cui il cinema di Guadagnino solca la direzione.
Il vero scandalo è la rivelazione della possibilità di una nuova idea d’amore: sportivo
Ma andiamo oltre: senza scrittura e tecnicismi Challengers è un film interessante perché sembra scombinare un concetto: la possessività.
In questo film la possessività non ha alcun match da giocare e neanche palle in tasca per allungare il tiro. Avanza un’avanguardia di matrice sociale tipica di un cinema che rappresenta senza giudicare; tre persone innamorate di se stesse e fra di loro senza un calcolo, senza degenerare nel possesso, lasciando la questione volutamente aperta.
Il tennis mira esclusivamente a regolare il gioco attraverso un bilanciamento perfetto; senza mai umiliare nel tradimento, senza scelte obbligate; una “combinazione” che attribuisce un’intenzione Pop, attraverso la vestizione del brand che si trasforma in presenza “iconica” di una nuova femminilità che Zendaya, piaccia o non piaccia, raffigura in una riuscita collaborazione con O ‘Connor e Faist, belli sudati, uno biondo l’altro moro, uno timido l’altro dominante per una mascolinità bastarda: i tre protagonisti riescono a catturare a prescindere dalle troppe impalcature scenografiche che un film “americanissimo” come Challengers ha a disposizione.
Challengers: valutazione e conclusione
Challengers è una macchina progettuale; si intuisce dal “contesto” che certifica una cura certosina nella costruzione di una “faccenda” che gioca abilmente con i tempi della nostra pazienza, che ci interroga sulle capacità di “seduzione” elettiva applicando regole scorrette e contemporaneamente attrattive, per questo pericolose. Di fatto Challengers gioca con lo sguardo dello spettatore; si assiste a una partita di tennis che ci ipnotizza a tal punto da divenire noi stessi il movimento della macchina da presa; la forza è la tridimensionalità dell’immagine, il coinvolgimento d’azione che interpella alzando il sonoro e rendendo i tre personaggi ancora più avvincenti, persuasivi e affascinanti, diventando noi il ruolo d’attacco e di difesa.
Challengers non è un film complicato ma è un film determinato, dall’osservazione assertiva paralizzato nelle sue inchieste di umanizzazione. Gli apprezzamenti sono necessari per la mancanza di una “ferocia” esasperata da equazioni politicamente corrette, per l’insostenibilità di un parallelismo, per lo svezzamento del romanticamente concesso, per l’equilibrio tra la femminilità e la mascolinità e la mancanza di subordinazione in un gioco che palleggia senza però speranza di atterraggio. Challengers non è possesso di un amore ma gelo di avide emotività “sincronizzate” al solo scopo di una sincerità bugiarda ma mai beffarda.
Il film diretto da Luca Guadagnino è al cinema dal 24 aprile 2024, distribuito dal Warner Bros..