Chemical Hearts, recensione del film con Lili Reinhart

Chemical Hearts rientra nel racconto contemporaneo dell’adolescenza che sembra fare rima con malattia e disagio. Ma sempre con tanta speranza nel futuro.

Chemical Hearts è tratto dal romanzo Our Chemical Hearts di Krystal Sutherland, scrittrice australiana, di cui stranamente non esiste una voce su Wikipedia e non si riesce a trovare la data di nascita. La celebre rivista Forbes ci dice che aveva meno di trent’anni nel 2018, dato che la inseriva nella lista delle più importanti under 30 dell’anno.

Ognuno d’altronde ha il diritto di gestire la sua immagine come meglio crede. Nel caso di Miss Sutherland sembra funzionare, creando anche un piccolo alone di mistero attorno alla sua figura. Un po’ come quello che avvolge Grace Town, la ragazza in cui si imbatte Henry Page il giorno del colloquio per diventare editor della rivista scolastica. Grace zoppica vistosamente e cammina con un bastone, conseguenze di un incidente d’auto che l’ha lasciata invalida fuori e dentro. Henry resta affascinato da lei, che ha oltretutto anche un notevole talento per la scrittura. Tornare a casa insieme sarà solo il primo passo verso qualcosa di più intimo e intenso. Ma il passato per Grace è troppo ingombrante e anche l’amore non è abbastanza per cancellarlo.

John Hughes did not direct my life

Lo diceva Olive Penderghast in quel gioiello del cinema teen che è Easy Girl, rilettura liceale contemporanea de La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne. Will Gluck è stato uno degli ultimi a ricordare che quando si parla di adolescenti bisogna fare riferimento a quello che meglio di chiunque altro aveva capito le loro urgenze.

Da qualche anno invece il racconto è virato verso la sofferenza. Prima sono arrivate le istanze pallide degli Emo, celebrati dalla saga di Twilight e dai dischi degli Evanescence. Dato che di peggio non poteva accadere, una volta esaurite le saghe distopiche, tra Hunger Games senza frontiere, velocisti del labirinto e via discorrendo, si è tornati ad abbracciare la realtà. Ma non per molto, perché prima o poi tutti dobbiamo morire. Almeno questo sembrano dirci i vari Colpa delle stelle, A un metro da te, Noi siamo tutto e altri film che hanno cavalcato il filone “adolescenti con malattie” e di cui Chemical Hearts fa tangenzialmente parte.

La malattia è ovviamente una metafora sia del malessere emotivo dei giovani, ma anche di quello nei confronti di una società che non li comprende. John Hughes, per l’appunto, la faceva molto più semplice, e per questo il messaggio arrivava potente e diretto, con frasi che sono rimaste scolpite nella pietra e resteranno nei secoli.

Chemical Hearts: When you grew up your heart dies

Sapere che se digiti The Breakfast Club su Google, il primo risultato è una catena di caffè-ristoranti hipster dai menu noiosamente omologati, rende bene il segno dei tempi, come avrebbe detto Roger Nelson, noto anche come The Symbol, o per meglio dire TAFKAP. Ma Allison Reynolds, la disadattata “basket case” del capolavoro di JH, ha sempre avuto ragione. I Chemical Hearts di Henry e Grace sono figli di quei muscoli cardiaci cresciuti sapendo il loro destino e sperando non accadesse lo stesso a chi sarebbe venuto dopo di loro.

chemical hearts cinematographe.it

La svolta romantico-melodrammatica della letteratura, e di conseguenza del cinema, adolescenziale è tutta qua. I ragazzi sono malati perché nascono da chi è già morto dentro. Destinarsi a una morte prematura è il loro modo di punire mamma e papà perché hanno mollato troppo presto. E loro adesso ne pagano le conseguenze non sapendo come si gestisce la felicità.

Chemical Hearts è un buon teen movie

Decisamente meglio di molte delle cose viste negli ultimi anni, da quelli citati a Paper Towns, che nel genere è quanto di più simile. Chemical Hearts ha dalla sua una sincerità e anche un realismo decisamente maggiore e le psicologie dei protagonisti, per quanto semplicistiche rispetto a opere come Noi siamo infinito e Quel fantastico peggior anno della mia vita, sono più complesse della media recente. Inoltre la deriva scientifica, incarnata dalla sorella di Henry, che spiega come l’amore sia una reazione chimica e come tale è anche la sofferenza per lo stesso, è interessante e certamente offre speranza a molti.

La coppia protagonista è ben assortita, affiatata e di grande appeal nei confronti della generazione streaming. Lili Reinhart, star di Riverdale, incarna molto bene i dolori di Grace, tormentata al punto giusto e brava ad attraversare le fasi del lutto e della passione. Austin Abrams, ben noto alla folta schiera di appassionati spettatori di The Walking Dead, interpreta Henry con la giusta misura e soprattutto dignità, quella che di solito un adolescente innamorato perde alla velocità della luce.

Alla fine della fiera, il discorso è sempre lo stesso. Purtroppo no, John Hughes non ha diretto le nostre vite. Ma sarebbe stato bello.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

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