Chi è senza peccato – The Dry: recensione del film con Eric Bana
La terra senz'acqua, due delitti misteriosi, rimpianti di ieri e oggi. Questa l'elaborata struttura di Chi è senza peccato - The Dry, thriller con Eric Bana in sala dall'11 novembre 2021 con il suo carico di colpe, memorie sgradevoli e bisogno di verità e giustizia.
Bisogna riconoscere a Chi è senza peccato – The Dry, il film di Robert Connolly con Eric Bana in arrivo nelle sale italiane dall’11 novembre 2021 per Notorious Pictures, di arrivare al traguardo in condizioni più che dignitose. Un solido giallo dalle notevoli profondità intimiste e una interessante suggestione d’ambiente, più un’idea di cinema (e scrittura) dall’ovvio appeal simbolico e impattante anche sul piano visivo. Non è poco ma, ovviamente, una cosa per volta. Per il momento vale la pena di ricordare che il film è l’adattamento del romanzo pluripremiato del 2016 di Jane Harper, titolo Chi è senza peccato.
Chi è senza peccato – The Dry: tra passato e presente, il ritorno a casa del poliziotto Eric Bana
Due indagini che si sovrappongono, un match di ping pong piuttosto teso tra passato e presente mentre sullo sfondo la terra brucia, perché di acqua neanche l’ombra. Questa è, se vi pare, l’architettura narrativa ed emozionale di Chi è senza peccato – The Dry. Una impalcatura niente male. Ora, se bastasse una buona intenzione, una pila di buone intenzioni, per smorzare anche il più feroce fuoco critico, Robert Connolly avrebbe vinto la sua partita in partenza. Quello che conta, ovviamente, è il film cotto e mangiato e, una volta tanto, è riposante sottolineare come al prezzo di qualche sbavatura dovuta più che altro alla difficoltà di armonizzare i suoi tanti piani, il racconto tenga. Comincia col botto, doppio. Una terribile siccità che incendia l’entroterra australiano. E un crimine atroce, di quelli brutti assai. Sotto il segno di queste infauste premesse si materializza il ritorno a casa di Aaron (Eric Bana).
Aaron è tornato a casa perché il più caro amico d’infanzia, Luke (Martin Dingle-Wall), ha ucciso moglie, un figlio (sono due), e poi si è tolto la vita. Almeno questo è ciò che pensa la gente del posto, piuttosto ansiosa di archiviare la faccenda per quel pasticciaccio brutto che sembra essere. Ma la famiglia di Luke non si beve la versione ufficiale e per questo chiede a Aaron, che nella vita fa il poliziotto federale, di portare alla luce la verità vera sul caso. Aaron accetta, perché fiuta una posta in gioco importante. Riallaccia i rapporti con Gretchen (Genevieve O’Reilly), che di Aaron e Luke è amica da una vita, per fare un po’ di luce sul mistero più grande della sua vita. La morte di Ellie (Bebe Bettencourt), avvenuta quando i quattro erano poco più che adolescenti. All’epoca, molto si era sussurrato a proposito del coinvolgimento di Aaron e Luke nel caso. Due gialli, due volte morte. Una possibilità comune.
Aaron cerca verità, vendetta, espiazione. Col cuore in tumulto ma la mente lucida. Non lega i due crimini materialmente, non pensa e non cerca un killer comune, e in questo sta un merito del film. Cioè di non soccombere alla convenzionalità di un procedurale senz’anima. Quello che l’agente coglie delle due tragedie è il segno comune di un male che prosciuga tutto, la terra come i cuori delle persone, lasciando al suo posto un labirinto di porte socchiuse da cui si intravedono verità poco edificanti e un mucchio di segreti. Tutti nascondono qualcosa. Questo è il doppio cuore, spirituale e plastico, della terribile siccità, del doppio delitto e del tempo doppio del film, ieri e oggi. Interessante il lavoro sui toni e gli spazi (immensi) della storia. L’Australia sconfinata e senza pace fotografata da Stefan Duscio è un gioiello perverso di desolazione giallastra e polverosa. Fiumi morti.
Il film è ambizioso, e mantiene le sue promesse
L’indagine su due piani temporali differenti. Passato e presente, svelati a brandelli e con progressione implacabile. Chi è senza peccato – The Dry è la storia di ieri e oggi. La storia di Luke ed Ellie, raccontata dagli occhi di Aaron e offerta allo spettatore perché la decifri. Il film costruisce bene la piramide di bugie, ipocrisie, mezze verità e rimpianti che segna la vita di una comunità al palo. Molto interessante la capacità di stare nella testa e nel corpo di un protagonista carismatico, e al tempo stesso di aprirsi alle possibilità di un racconto corale.
Capita anche che la meccanica del giallo puro sovrasti i picchi emotivi del film. Il dolore e il rimpianto dei protagonisti, così tangibili nel profilo esteriore, a tratti si fa fatica ad afferarli. Il limite, l’incapacità di far quadrare i conti completamente, è quasi inevitabile date le ambizioni di un thriller che cerca la soddisfazione plastica e lo sguardo intimista, che gioca con i tempi del racconto e insegue la grande metafora (la siccità), con qualche accenno alla nostra contemporaneità ambientale parecchio problematica.
Nulla di irrimediabile per un film solido, coerente a valle con gli auspici a monte, che lega bene quel tanto di coraggio nell’offerta con gli squarci e le rivelzioni spiazzanti del thriller standard. Buono il cast corale, svetta l’ottimo Eric Bana che rispolvera per l’occasione il più consumato dei registri allusivi, gioco di sguardi e parentesi di non detto. Per raccontare l’interiorità complicata del suo agente preso nel mezzo del match clou tra passato e presente. Una menzione la merita anche Bebe Bettencourt, cui tocca il compito di materializzare un fantasma di donna dall’animo misterioso e dal finale incerto, una goccia di rimpianto dentro un oceano di rimpianti. Il segreto di Ellie è il segreto di un film che spera nella verità, ma non trova davvero la pace.