Chiamatemi Anna: recensione della serie Netflix
La nuova serie televisiva canadese distribuita da Netflix, Chiamatemi Anna, adatta un testo di inizio novecento con freschezza ed efficacia consegnandoci un prodotto da non trascurare per pregiudizio
“Anna dai capelli rossi va, vola e va come una rondine…” Chiunque si aggiri oggi intorno ai trent’anni leggendo queste parole non potrà non ritrovarsi a canticchiarle, ripescando negli anfratti della propria memoria immagini sparse dell’anime che apriva. Erano gli anni ’90 e per la prima volta i bambini italiani facevano la conoscenza di Anne Shirley, protagonista del romanzo d’inizio ‘900 di Lucy Maud Montgomery, Anne Of Green Gables. Libro di certo non nuovo ad adattamenti vari – tra i più famosi, oltre al già citato anime Akage no An (Anna dai capelli rossi) del 1979, abbiamo la miniserie canadese del 1985, Anne of Green Gables, da noi importata, di nuovo, come Anna dai capelli rossi – le avventure di Anne sono adesso raccontate in una nuova serie distribuita da Netflix, Chiamatemi Anna (Anne with an “E”).
Chiamatemi Anna è una serie televisiva spiccatamente attenta ai dettagli che non trascura il romanzo da cui è tratta ma sa anche giocare con tematiche contemporanee pertinenti alla trama
Anna Shirley (Amybeth McNulty) è orfana fin dalla più tenera età e per questo è stata cresciuta in un orfanatrofio in Nuova Scozia prima di essere finalmente affidata a Matthew (R. H. Thomson) e Marilla (Geraldine James) Cuthbert, fratello e sorella che non si sono mai sposati e ancora vivono insieme. Personaggio traboccante di immaginazione e dalla parlantina talvolta irriverente, Anna è spesso tormentata da ricordi dolorosi del suo passato nell’orfanatrofio e nella precedente famiglia cui era stata affidata. Trovandosi finalmente in una casa accogliente e immersa nella natura, Anna dovrà superare le diffidenze del vicinato e di Marilla stessa, donna di buon cuore ma che difficilmente riesce a mostrare i propri sentimenti. Per Anna, quindi, si apre un nuovo capitolo della sua vita e dovrà fare di tutto per integrarsi in una società che non sembra troppo pronta ad accettare il diverso.
Forte del rigoglioso paesaggio costiero dell’Isola del Principe Edoardo, uno dei set di Chiamatemi Anna, la serie si apre con una veloce panoramica aerea che culmina su un cavallo in corsa lungo la costa. Zoom sugli zoccoli che battono sul terreno, sulle mani che reggono salde le redini, sul volto dell’uomo che trasuda impazienza e fretta. Infine, dopo aver raggiunto l’apice, il fischio di un treno in corsa scioglie la tensione e ci suggerisce dove questo personaggio sia diretto. Niente di nuovo né di particolarmente accattivante, altri show prima di questo ci hanno abituati a fare del paesaggio uno dei loro punti di maggior forza – Poldark su tutti – ma Chiamatemi Anna non punta a far rimanere a bocca aperta per la sua fotografia, nonostante sia di alto livello, bensì sono i suoi personaggi, perfettamente caratterizzati nella loro umanità, a tenere le redini del gioco.
Su tutti, spicca ovviamente Anna. Privata dell’affetto dei genitori dopo la loro morte quando era ancora piccola, Anna non ha più avuto modo di conoscere le gioie di avere una famiglia che si preoccupa per la salute dei propri figli. In una società in cui gli orfani vengono emarginati perché privi di un nome e di un nucleo famigliare rispettabile alle spalle, spesso, quando vengono adottati, sono anche trattati alla stregua di servi da umiliare e sfruttare per le faccende domestiche. È per superare le tragedie che la vita le ha messo davanti che Anna fa tesoro della sua capacità immaginativa e cerca di migliorare la realtà che la circonda facendo ricorso a storie lette e storie inventate, costruendosi attorno un mondo che sia più gentile nei suoi confronti.
Chiamatemi Anna è la serie che non sapevate di stare aspettando per cambiare la vostra idea su quella ragazzina dai capelli rossi che probabilmente odiavate da bambini per la sua parlantina
Chiamatemi Anna si presenta già dal primo, lungo episodio come una serie molto attenta ai dettagli, soprattutto nelle ambientazioni e nei dialoghi. Gli interni di Green Gables sono ricostruiti con cura, così come i costumi che contribuiscono al realismo a cui la produttrice, Miranda de Pencier, ha detto di voler puntare. La sceneggiatura di Moira Walley-Beckett – già autrice di alcuni episodi di Breaking Bad – è fluida e articolata, si appoggia al libro di Montgomery ma trova anche i punti giusti cui agganciarsi per calcare su tematiche contemporanee, come il ruolo della donna nella società, mettendo in discussione la sua posizione di subalternità nei confronti dell’uomo.
Proto-femminista senza saperlo, Anna è salda nella sue idee che esprime con la freschezza tipica dell’adolescenza. Walley-Beckett ci regala sì un personaggio che è emblema di forza d’animo e schiettezza, ma non dimentica di mostrarci anche le sue debolezze in brevi flashback sapientemente dosati che fanno ricorso a una palette cromatica dai toni freddi, un po’ inflazionata per comunicare mestizia e dramma ma pur sempre efficace.
Il primo episodio di Chiamatemi Anna promette una serie curata, perfettamente coscia della materia che sta trattando e di come sia meglio gestire la trama per sfruttarne tutte le potenzialità. È una serie che non smette di far commuovere ed emozionare anche per le più piccole cose, come il sole che filtra tra i rami di ciliegio o il sorriso dolce che per la prima volta qualcuno rivolge ad Anna. Se, come me, ricordavate solamente la voce petulante di una bambina dai capelli rossi, allora è questa è la serie giusta per farvi cambiare idea.