Chinatown: recensione del film di Roman Polanski

Chinatown, film senza tempo dell’iconico regista Roman Polanski, affronta il tema della corruzione attraverso un genere intramontabile, il noir, rimanendo per sempre nell’immaginario come uno dei film più importanti del regista polacco.

Questo epico film di Roman Polanski, uscito nel 1974, ma ancora oggi un cult senza tempo, narra dell’impavida impresa di un investigatore privato, ex poliziotto, Jake J.J. Gittes  (un immenso e giovanissimo Jack Nicholson), nella Los Angeles degli anni ’30, per scovare la verità dietro l’omicidio di un importante ingegnere che si opponeva alla costruzione di una diga che sarebbe stata insicura per i cittadini, oltre che fattore di impoverimento della popolazione. In questa storia, ricca di intrecci, colpi di scena e suspence, Polanski gioca col genere intrigante per eccellenza: il noir. Infatti il film è catalogato sotto il genere di neo-noir.

Chinatown: la guerra contro un sistema

Ma la crociata dell’investigatore Gittes, così come l’omaggio al noir, non sono solo un espediente narrativo e sfoggio di tecnica di sceneggiatura, ma, la storia profonda dentro la trama, narra della guerra eterna di Davide contro Golia, narra degli sforzi per fare chiarezza dentro un sistema poco chiaro, narra della lotta tra l’uomo comune, singolo, contro un intero contesto imbevuto di potere, denaro, corruzione, dove non si capisce quasi mai dove inizino e finiscano le responsabilità.

Chinatown: un quartiere, una metafora

“A Chinatown non si capisce mai bene quello che succede”, ecco una delle frasi più emblematiche di questa importantissima pellicola. Perché Chinatown? Il nostro protagonista prima di diventare investigatore privato, infatti, era un poliziotto ed aveva lavorato a lungo proprio nel quartiere cinese di Los Angeles, il quale viene usato, in particolare in questo passaggio del dialogo con Evelyn Mulwray (una splendida Faye Dunaway, qui perfetta diva noir), moglie dell’ingegnere assassinato, come metafora dell’incomprensibilità dei fenomeni all’interno di strutture formate, ampie, governate da uomini intoccabili e che hanno un loro funzionamento interno, che è impossibile riuscire a comprendere, figurarsi a scardinare.

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Chinatown: indimenticabili Nicholson e Dunaway

Chinatown è un film che ancora oggi, a distanza di più di quarant’anni, continua a far riflettere sulla fragilità del singolo di fronte al sistema, continua a farci emozionare e fare il tifo per il più coraggioso dei singoli, per Jake J.J. Gittes, epico protagonista, coraggioso, spavaldo, un vero eroe senza macchia e senza paura, che si sforza di sottolineare sempre la sua rettitudine anche di fronte all’inevitabilità del delinquere, che combatte fino all’ultimo, e che è capace di passione e tenerezza. La magistrale interpretazione di Jack Nicholson, allora trentasettenne, non rende certamente difficile quest’operazione di innamoramento dello spettatore di questo cavaliere impavido. Così come la protagonista femminile e la sua sensualissima interprete, Faye Dunaway, ci riportano ad una dimensione di profondo rispetto per un personaggio femminile intenso, non banale, coraggioso, trasgressivo, ammaliante, che non esaurisce la sua carica solo nell’eros, ma che si completa nell’animo forte, nell’intelligenza, in uno stile intramontabile.

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Chinatown: un film senza tempo

Chinatown è un film che non si dimentica facilmente, è un film che è necessario seguire con attenzione, per tutti i complessi passaggi di trama, ma anche per poter cogliere tutte le sfumature negli sguardi, nel chiaroscuro delle inquadrature che fanno riecheggiare quello stile anni ’30, cupo e sensuale, e riflettere su tutti i riferimenti politici, sociologici, filosofici, di cui la sceneggiatura è imbevuta e che lo rendono il film senza tempo, che in tanti conoscono ed amano.

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.8