Cimitero Vivente – le origini: recensione del film horror su Paramount+
Il debutto alla regia di Lindsey Anderson Beer è un horror deludente, una storia fin troppo maneggiata che perde ogni valenza con l'opera da cui prende ispirazione a causa di una scrittura impaziente e senza mordente.
Cimitero vivente: le origini, il nuovo film che è approdato su Paramount +, nasce da premesse inconsuete. Il debutto alla regia di Lindsey Anderson Beer è il prequel del remake del 2019 Pet Sematary che, a sua volta, è tratto dall’omonimo libro horror di Stephen King. Sembra molto più complesso di quello che è in realtà, ma è innegabile -soprattutto dopo al visione di Cimitero vivente: le origini – che i continui passaggi di mano abbiano reso il risultato finale di questo mini franchise più confuso del dovuto. Ma procediamo con ordine.
L’intricata storia di Cimitero vivente: le origini
Il romanzo di Stephen King, oltre al terrore che innesca e alla tematica del lutto, si basa su una questione morale: cosa faresti pur di riavere i tuoi cari? Il protagonista Louis Creed non ci pensa due volte e quando muore suo figlio di appena tre anni, porta il suo corpo nel cimitero indiano nascosto poco dopo il cimitero degli animali, un luogo sacro in cui chi viene seppellito lì resuscita dopo qualche giorno. Louis è stato avvisato dei pericoli di un rituale del genere dal suo vicino Jud, un anziano che vive a Ludlow da sempre e conosce ogni centimetro della cittadina, incluso il potere soprannaturale che scaturisce da quella terra, un potere che ha constatato in prima persona con il suo amico Timmy, tornato dal Vietnam completamente diverso, il risultato non del trauma della guerra, ma dell’essere stato resuscitato da suo padre, disperato per la perdita.
Sono infatti Jud (Jackson White) e Timmy (Jack Mulhern) i protagonisti di Cimitero vivente: le origini e il modo in cui Jud ha scoperto il potere del cimitero e la forza oscura che circonda Ludlow, passando da un giovane con tante speranze e il sogno di vedere il mondo con la sua fidanzata Norma all’anziano saggio vicino di casa di Louis Creed.
Un horror tiepido fin dalle premesse
Le premesse non sono delle più originali, soprattutto perché vogliono miscelare il messaggio politico degli horror con gli zombie di fine anni ’60, la critica alla colonizzazione da parte degli europei delle popolazioni native e il cliché horror di una forza maligna che invade una piccola cittadina, imprigionando i cittadini al suo interno. Chiunque cerchi di uscire è spacciato in quanto degli eventi apparentemente casuali impediscono a chiunque di uscire fuori dai confini. È quel che accade a Jud e a Norma che non riescono a compiere nemmeno un chilometro di viaggio prima che un incidente stradale non li blocchi.
Di per sé questi elementi potrebbero ancora risultare interessanti anche se abusati e sfruttati da decenni, ma un buon horror si basa sulla combinazione di tensione narrativa e una buona storia. Entrambi gli elementi mancano in Cimitero vivente: le origini che ben presto genera noia piuttosto che paura e adrenalina. La causa principale non è da ricercarsi tanto nella regia quanto nella scrittura che è confusionaria e pigra.
Fin dall’inizio, gli elementi portanti del film non sono spiegati con la giusta novizia di particolari nel tentativo di creare suspense in una storia di cui si conosce già la fine essendo un prequel. Dopo un inizio confusionario, Cimitero vivente: le origini procede con una storia che ha ben poco mordente anche a causa delle tematiche principali che sono svuotate dei loro intenti. Nessuna morale, nessun ritratto dell’egoismo umano e del dolore del lutto – rappresentato solo da Billy, il padre di Timmy, interpretato da un carismatico David Duchovny – che vengono sostituiti da una misteriosa entità le cui origini sono mostrate in un flashback che appare slegato da tutto il resto della storia.
Cimitero vivente: le origini valutazione e conclusione
Cimitero vivente: le origini è un horror tiepido che non soddisfa nessun pubblico a cui potrebbe essere indirizzato. La storia originale di King si perde totalmente in una visione di una storia che prende tutt’altra piega fin dalle premesse iniziali, ma anche come horror di per sé non convince. A parte la storia che non ha fondamenta solide, è la completa assenza di mordente ad essere il vero problema.
Semplicemente questo prequel di Pet Sematary non fa paura. Se l’originale giocava con una paura primordiale e più sottile – resa più spiccata grazie al ricordo di Rachel della sorella malata che, nella sua mente da bambina, ha preso le sembianze di una strega malvagia e stramba -, questo primo lavoro di Lindsey Anderson Beer nemmeno prova a far paura. Nessun jumpscare, nessuna tensione musicale o visiva, nessuna costruzione orrorifica dell’entità che imprigiona a loro insaputa li abitanti nella cittadina. Come accennavamo, la scrittura di Cimitero vivente: le origini non prometteva un risultato brillante già sulla carta, ma l’esecuzione fallacea, poco fantasiosa e impaziente ha sotterrato le poche speranze che questo film nutriva.