Circuito rovente: recensione del film norvegese Netflix
Il grande pilota Roy, per riconquistare la sua futura sposa, deve superare se stesso: l'obiettivo è battere un nuovo e imprevisto avversario sull'iconica pista di Nürburgring in Germania.
La storia è più o meno questa: nel 2014, apparentemente senza troppe pretese, il regista Hallvard Braein dà vita a Børning, film incentrato sulle corse automobilistiche clandestine dichiaratamente ispirato a Fast & Furious. Il successo è clamoroso e arriva fino agli Amanda (gli Oscar norvegesi), dove Børning vince addirittura 4 statuette. Impossibile, a questo punto, non replicare. Nel 2016 esce dunque Børning 2 – On Ice, che diventa il maggior incasso nel primo giorno di uscita in sala di tutta la storia del cinema norvegese.
Incredibile, ma vero; così come è piuttosto singolare non solo che questo franchise non abbia superato i confini nordici, ma che si decida ora di distribuire a livello internazionale solo la terza parte della saga, senza alcun avvertimento relativo ai capitoli precedenti. Per il mercato internazionale Børning 3 diventa Asphalt Burning, a sua volta tradotto in italiano come Circuito rovente. Una situazione alquanto anomala, considerando anche che questa puntata numero 3 mostra evidentemente la corda di un filone ormai esausto e del tutto esaurito.
Circuito rovente:
In corsa per amore, tra Trollstigen e Nürburgring
Abbiamo citato Fast & Furious, ma la verità è che le aspirazioni di regia e sceneggiatura puntano sì da un lato all’azione tout court, con inseguimenti e gare clandestine e complesse elaborazioni meccaniche, ma dall’altro guardano anche alla commedia semi-demenziale, prendendo a modello il mai dimenticato Ricky Bobby – La storia di un uomo che sapeva contare fino a uno (2006) con Will Ferrell. Qui il protagonista è Roy, imbattibile pilota e amante delle Ford Mustang. Il pretesto per ritornare a parlare di lui – ma, ricordiamo, per noi è la prima volta – è una stramba scommessa: per poter sposare la sua compagna Sylvia dovrà battere sul circuito di Nürburgring la sua amica Robin.
Questo pretesto narrativo è avvolto in una pochezza estetica e strutturale davvero disarmante: si avverte anzitutto la drastica riduzione di budget, con il risultato di una messinscena tanto colorata quanto alla stregua dell’amatorialità. Le (già per conto loro) improbabili acrobazie delle auto sembrano realizzate con una computer grafica (in)degna della peggior PlayStation 2, e risultano perdipiù totalmente scollegate al resto della trama. Manca il ritmo, manca la coesione delle parti. Ma, più di ogni altra cosa, manca l’empatia, che avrebbe permesso di soprassedere sui macro-difetti dell’opera.
“La gara non è finita finché non è davvero finita”
Accade così che la pellicola, che nella sua parte centrale diventa di fatto un on the road, venga disseminata qua e là di strambi imprevisti che dovrebbero – sottolineiamo il condizionale – fare molto ridere. Ad una gag blandamente riuscita (quella della corriera con la sirena della polizia con annessa parodia della Cavalcata delle Valchirie di coppoliana memoria, desunta – lo capiamo dal contesto – da uno dei capitoli precedenti) però, fanno da controcanto decine di situazioni comiche dall’effetto soporifero e/o cringe; pensiamo soprattutto allo sketch della bara o al reiterato qui pro quo dei tre Roy.
Più che superficiale, Circuito rovente è un film superfluo, del quale si fatica a comprendere le reali motivazioni o persino il target. Non è un film per appassionati d’auto, perché i discorsi relativi ad assemblaggi e cablature sono ridotti all’osso. Ma non è apertamente né una commedia e nemmeno un film d’azione, visto lo scarso appeal delle sequenze dinamiche. Forse è, semplicemente, il malriuscito nuovo capitolo di un’epopea che si cerca disperatamente di tenere in vita nonostante la mancanza di idee. A corsa finita, l’eroe Roy imparerà una preziosa lezione: “La gara non è finita finché non è davvero finita”. Avremmo preferito, in verità, concluderla con ampio anticipo.