Venezia 76 – Citizen K: recensione del documentario di Alex Gibney

La nostra recensione di Citizen K (2019), documentario sull'enigmatica figura di Mikhail Khodorkovsky presentato fuori concorso a Venezia 76.

Nello stesso giorno in cui è stato presentato la straordinaria origin story dell’antieroe per eccellenza Joker, a Venezia si è tenuta anche prima di Citizen K, ultimo lavoro del documentarista premio Oscar Alex Gibney incentrato sull’antieroe in carne e ossa Mikhail Khodorkovsky. Un personaggio ambiguo e complesso, membro di quel gruppo di oligarchi russi  che, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si arricchirono a dismisura con mosse finanziare puramente speculative, mettendo le mani anche su diverse compagnie statali. Un simbolo della ricchezza e del potere, passato però nel giro di poco tempo dall’essere l’uomo più ricco di tutta la Russia a principale dissidente di Vladimir Putin, dopo aver nel frattempo perso anche un processo chiaramente politico ai suoi danni, terminato con una condanna a nove anni di prigione in Siberia.

Citizen K: un milionario contro PutinCitizen K

Dopo We Steal Secrets: The Story of WikiLeaks e Zero Days, Gibney continua a scandagliare i risvolti più cupi e inquietanti della nostra realtà, focalizzandosi stavolta sulla Russia di Putin, sempre più vicina al totalitarismo per la mancanza di una reale opposizione politica al leader e per l’aggressività con cui vengono messe a tacere tutte le voci del dissenso. Con un approccio lucido e analitico, ricorrendo a immagini di repertorio e a interviste ai protagonisti del documentario, fra cui lo stesso Khodorkovsky, Gibney ci racconta quasi 30 anni di storia della Russia, tracciando un percorso che parte dalla dissoluzione dell’URSS, attraversa la successiva instabilità sociale e finanziaria e arriva all’ascesa di Putin, sostenuta dagli stessi oligarchi che poco dopo ha progressivamente reso inoffensivi.

Nello scenario politico completamente rivoluzionato rispetto a quello che avevamo imparato a conoscere, si crea così un cortocircuito pressoché impensabile. Dopo essere stato fagocitato da Putin attraverso alcune spregiudicate mosse politiche, la resistenza a un possibile regime è affidata a un milionario, che ammette candidamente davanti alla camera di Gibney di avere messo da parte nel corso degli anni, con mosse non meglio specificate, circa 500 milioni del suo patrimonio, con i quali da Londra sta finanziando diverse campagne di protesta contro il Presidente della Federazione Russa. Con le dovute proporzioni e le ovvie differenze, il paragone più calzante che ci viene in mente con la situazione italiana è quello di Silvio Berlusconi o un membro della famiglia Agnelli che contrastano la possibile svolta autoritaria del Paese e i diritti delle minoranze. Difficile anche solo da immaginare, no?

Citizen K: l’antieroe Mikhail Khodorkovsky

Citizen K

Con il suo Citizen K (titolo che gioca volontariamente sull’assonanza con il Citizen Kane di Orson Welles), Gibney mette così in scena un ricatto morale nei confronti dello spettatore, simile a quello del già citato Joker di Todd Phillips.

Il regista non nega nulla del sinistro passato di Khodorkovsky, sottolineando anche le accuse le sue possibili connessioni con l’omicidio del sindaco di Nefteyugansk Vladimir Petukhov e la sua condotta ambigua alla guida della compagnia petrolifera Yukos, ma allo stesso tempo ci mette davanti a una scomoda verità: pur con la sua discutibile condotta morale, quest’uomo è stato a tutti gli effetti un prigioniero politico, e anche dopo l’amnistia concessagli in occasione dei giochi olimpici di Sochi è costretto a vivere nella paura di una vendetta a Londra, dove altri dissidenti ultimamente sono scomparsi in circostanze più che sospette. E non finisce qui: Citizen K ci mette anche di fronte al fatto che Mikhail Khodorkovsky è al momento la minaccia più pericolosa per il potere di Putin, a differenza degli inoffensivi fantocci che si sono opposti a lui durante l’ultima campagna elettorale.

Di fronte a questa posizione etica fortemente provocatoria, si perdona volentieri a Citizen K qualche digressione di troppo (una sforbiciata ai 126 minuti totali avrebbe probabilmente giovato) e un approccio costantemente in ottica americana, nonostante non si possa certo rimproverare a Gibney, Oscar nel 2008 per Taxi to the Dark Side, incentrato sulle torture perpetrate dal governo statunitense a Guantánamo, una mancanza di lucidità nei confronti dei vizi e delle contraddizioni degli Stati Uniti. Ci resta così una nuova illuminante inchiesta di uno dei migliori documentaristi in circolazione, non perfetta nella messa in scena, ma in grado di farci riflettere sui lati più oscuri della politica di Putin.

Regia - 3
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.5