Città Visibile: recensione del film
Un film che arriva dritto al cuore, senza freni né timori. C'è tutta Trieste in questi 105 minuti, ma c'è anche molto di più!
Ci sono documentari che fanno il loro lavoro e poi ce ne sono altri che sono una vera e propria esperienza, Città Invisibile, il film presentato come evento speciale alla trentesima edizione del Trieste Film Festival, fa parte della seconda categoria. Il progetto, sotto la guida dei tre artisti under 35, Filippo Gobbato, Laura Samani e Margherita Panizon, affiancati dai tre tutor, Erika Rossi (direttrice artistica), Davide Crudetti e Michele Aiello, coinvolge i giovani di tre rioni triestini, Valmaura, Ponziana e Melara, nella realizzazione di un’opera che mostra cosa vuol dire vivere in periferia, grazie anche all’aiuto degli abitanti del quartiere.
Città Visibile: un racconto che arriva dritto al pubblico
Città Invisibile è un progetto di video partecipato o partecipativo, ideato dall’Associazione Maremetraggio e finanziato da Siae SIllumina, progetto che nasce dall’idea di realizzare tre laboratori in cui i giovani raccontino se stessi, la loro idea di identità, la loro appartenenza al rione. Proprio da queste riflessioni sono nati i tre documentari che compongono Città Visibile, Un oceano immenso (Valmaura), Tutto il mondo è paese (Ponziana), Melarancolia (Melara) che esprimono in modi diversi storie segrete, piccole e grandi tranche de vie che devono essere portate a galla, non senza difficoltà e dolori.
Il film arriva dritto, senza freni né timori. C’è tutta Trieste in questi 105 minuti in cui si corre in lungo e in largo nei tre rioni ma non solo, c’è tutto il dialetto di chi vive qui ma anche molto di più, una lingua universale, ci sono le angosce dei ragazzi che temono per il futuro, spaventati dalle incertezze proprie dell’età e anche la voglia di cambiare il mondo perché non si trovano rappresentati da quello in cui vivono. La forza di Città Visibile è quella di parlare, mostrare senza schemi e senza schermi la realtà di Valmaura, o di Ponziana o di Melara; i ragazzi traghettatori e registi di queste storie entrano nelle case degli abitanti del quartiere, fanno loro domande su come era il loro quartiere, su quale è il più bel ricordo legato a quelle vie, a quegli appartamenti, a quei casermoni.
Città Visibile: al centro del documentario c’è il mettersi a nudo
La parola d’ordine è mettersi a nudo, costruire, ricercare, riportare alla luce la memoria di colui che è vissuto da sempre in quelle zone e che si porta addosso l’aria di casa (una delle narratrici/registe dice che in qualunque luogo lei sarà in futuro quello sarà il posto in cui potrà sempre tornare). Con la Città Visibile si sorride, ci si commuove e si riflette perché ciò che il documentario narra è la storia di tutte le periferie d’Italia in cui si raccontano storie non sempre lusinghiere, da cui è difficile “uscire” come se fossero una prigione a cielo aperto. Si mette al centro la purezza della genuinità e l’urgenza di aprire le porte a una città che potrebbe essere invisibile e invece è visibilissima proprio grazie a quelle videocamere che conoscono perfettamente quelle zone e sanno guardarle dalla giusta angolazione.
Città Visibile mescola racconti che potrebbero sembrare distanti, non avere quasi nulla in comune; e così i giovani chiedono ai più grandi, che c’erano lì da prima e sanno come quei quartieri sono cambiati, di tornare indietro nel tempo e di portarli con loro. Il ricordo dell’anziana signora che rievoca con foto e piccoli aneddoti il momento in cui da ragazzina è partita per l’Australia si unisce al timore di una diciannovenne che si chiede cosa ne sarà di lei dopo la maturità, cosa farà da grande, come si unisce alle grandi speranze di due ragazzi stranieri. L’amore di una giovane mamma per il compagno lontano (solo più tardi se ne capirà il vero motivo) è commovente tanto quanto lo strano sodalizio tra una ragazza e un signore anziano che l’aiuta a scrivere poesie (da qui il titolo del primo documentario, Un oceano immenso). Il cinico senso dell’umorismo di Federico di Melara che, da uno dei casermoni del suo quartiere, racconta degli innumerevoli suicidi avvenuti lì (da questo nasce il titolo Melarancolia) si combina con la delicatezza di quei narratori di storie, amici da sempre, formati dalla vita e dalla strada ad essere forti, che si mostrano in tutta la loro verità tra una birra e l’altra, tra sogni e desideri.
Città Visibile: un documentario che conquista
Città Visibile conquista lo spettatore, lo accompagna tra un documentario e l’altro e, incredibilmente, chi guarda non si sente mai straniero in quel gruppo di persone ma parte di qualcosa e anche, in qualche modo, di quel luogo. Ha la percezione di conoscere ormai quelle strade, quei palazzi, anche quei “personaggi”, che poi sono persone, che nei dialoghi con i ragazzi si dimostrano senza confini, pieni di coraggio e profondamente umani, come ha la percezione di conoscere i limiti, le tensioni di un giovane che sta crescendo. La sensazione è non potersi tirar via di dosso ciò che si è visto, non poter lavar via quei volti che interpellano con il loro sguardo gli spettatori, di tutte le età e di tutte le latitudini. Poco importa se si è giovani o più maturi, poco importa se si è del nord o del sud, ciò che si apre sullo schermo è la cronistoria di uomini e donne, di vite e di luoghi.