Roma FF16 – C’mon C’mon: recensione del film con Joaquin Phoenix

Il film, scritto e diretto da Mike Mills, è stato presentato al Telluride Film Festival a settembre ed è sbarcato alla 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Una riflessione profonda e tenera sulla genitorialità e sulle fragilità degli esseri umani.

C’mon C’mon è la nuova pellicola scritta e diretta da Mike Mills (Thumbsucker – Il succhiapollice, Le donne della mia vita) presentata in anteprima mondiale al Telluride Film Festival il 2 settembre 2021. La realizzazione vede presente Joaquin Phoenix (Il gladiatore, Joker) questa volta nelle vesti fragili e inusuali di un giornalista, Johnny, che si trova improvvisamente di fronte al ruolo di genitore. Sua sorella Viv (Gaby Hoffman), infatti, è costretta a badare al marito infermo mentalmente e a Johnny viene affidato il nipote, il piccolo Jesse (Woody Norman), 9 anni, già ampiamente maturo per la sua età e difficilissimo da seguire in quanto è in possesso di una mente elettrica e di una capacità di immaginazione insormontabile.

C’mon C’mon, dopo essere stato accolto in terra americana, arriva nella sezione ufficiale della 16esima edizione della Festa del Cinema di Roma. Il film, infatti, è nella selezione ufficiale del concorso nazionale, ma non ha ancora una data d’uscita per le nostre sale, anche se, considerando l’importanza del progetto, è probabile che Notorius Pictures comunichi al più presto una release effettiva.

C’mon C’mon: una tenera ed intensa relazione tra genitore e figlio, ma non solo

C'mon C'mon

C’mon C’mon non è semplicemente una delicata e tenera avventura sulla genitorialità e la responsabilità, ma suggerisce anche molto altro. Lo capiamo fin da subito, dal filtro volutamente in bianco e nero che gli dà un tocco nostalgico e crepuscolare, che il regista ci vuole raccontare una storia universale sulla sensibilità e il valore dei rapporti umani, usando il confronto tra Johnny e Jesse come perno centrale dello sviluppo della trama. Quando Viv è costretta ad occuparsi del marito in piena crisi mentale, un po’ come una scommessa, affida suo figlio Jesse a suo fratello Johnny, lo zio, che inizia una turbolenta, ma gratificante relazione con il piccolo. Quest’ultimo è iperattivo, estremamente intelligente e dotato di una fantasia vivida ma ingestibile, tutte caratteristiche complicate da gestire, soprattutto dall’uomo, taciturno, introverso e per nulla incline alla chiacchiera e al gioco.

Il pubblico, con naturalismo e spontaneità, assiste alla crescita della relazione tra la coppia, seguendo i due nei vari viaggi di Johnny che lavora come giornalista. Durante gli spostamenti temporali si ha l’impressione di assistere sempre ad un nuovo capitolo della storia, a nuovi obiettivi sia per il genitore che per il figlio, ma anche ad inedite sfide che sono chiamati a superare entrambi. In modo parallelo, se i luoghi cadenzano il racconto dal punto di vista cronologico, la lettura di alcuni libri specifici da parte del giornalista, invece, è la guida all’impianto tematico del film. Il valore principale del copione è insito nella sua capacità di rendere il confronto i personaggi principali estremamente immediato, usando dialoghi ricchi di significato, irriverenti con la giusta misura, ma anche intensissimi nella loro portata riflessiva.

Lo scambio tra i due all’interno di C’mon C’mon permette ad entrambi di crescere in maniera smisurata ed è proprio questo il messaggio principale che la realizzazione vuole lasciare al pubblico: non si è mai pronti ad essere genitori o alle relazioni come Johnny o preparati alla vita come invece Jesse, ma solamente alimentando il proprio io con il continuo dialogo, condividendo umanità, si può comprendere realmente cosa significano alcuni elementi misteriosi della nostra esistenza. Nel caso specifico della pellicola, i due riescono a completarsi a vicenda e nonostante un inizio particolarmente freddo, cambiano collettivamente, riuscendo ad aiutarsi reciprocamente e ciò ci fa capire come ognuno di noi può realmente trovare le proprie risposte in comunione con la persona giusta.

In tutto questo la regia della realizzazione, proprio per rappresentare questo incessante e continuo miglioramento sociale, è dinamicissima, alternando svariati registri stilistici. Per prima cosa, la macchina da presa inizia fin da subito a mostrarci, con una soggettiva stretta, le continue interviste di Johnny, stacca poi al fluire normale della pellicola e alterna momenti del presente con altri del passato, appellandosi ai ricordi di Johnny o agli argomenti che Jesse e lo zio affrontano insieme. Particolarmente significative sono le scene in cui l’uomo abbandona momentaneamente il ruolo di genitore e condivide le sue emozioni esternamente, con sé stesso tramite della auto interviste o con la sorella attraverso messaggi del telefono. Il risultato, a livello registico, è strepitoso perché fa capire perfettamente come la sua insicurezza lo divora e anche se la relazione con il nipote sta migliorando, non si sente pronto ad aprirsi.

C’mon C’mon: troppo contenuto rischia di allontanare lo spettatore dal messaggio principale

C'mon C'mon

L’uso del bianco e nero in C’mon C’mon non è un mero strumento estetico, ma assume un valore profondamente significativo, specialmente nelle scene panoramiche delle città che la coppia va a visitare. In quei momenti si respira particolarmente il tono malinconico e poetico che Mike Mills ha scelto di perseguire con la sua opera, dandoci un suggerimento importante: di concentrarsi sulle emozioni che, con questo filtro sono ancora più evidenti e toccanti, perché sono quelle che realmente contano nel progetto, che spingono poi il pubblico, al termine della visione, ad un’analisi profonda.

Nonostante questo, il film rischia più volte di andare un pochino fuori strada nel messaggio che vuole rappresentare. I momenti in cui Johnny intervista i vari bambini, ad esempio, per quanto siano importantissimi per l’apporto narrativo che suggeriscono, vanno fin troppo ad intaccare lo spirito più importante della pellicola che perde di efficacia perché viene accantonato da altro materiale riflessivo. Il rischio, quindi, è quello di avere tantissime tematiche tutte insieme che non riescono sempre a sovrapporsi in maniera coerente. Anche la stessa regia veicola talune volte troppe immagini esterne dall’anima principale della realizzazione, confondendo un po’ lo spettatore.

L’aspetto più interessante a livello interpretativo è che il valore di Joaquin Phoenix è pari e bilanciato con l’apporto recitativo del piccolo Woody Norman (Bruno, La guerra dei mondi). Scegliere volutamente di diminuire l’importanza di un gigante talentuoso come lui e di gestirla in modo equilibrato con l’altro comprimario è efficace e anzi, permette al pubblico di vedere un altro lato di Phoenix, stavolta meno superstar imbattibile e più semplicemente un ingranaggio della storia che l’autore vuole portare avanti. Entrambi i divi dimostrano una chimica straordinaria insieme e portano su schermo, individualmente, due grandi interpretazioni dove però nessuno travalica l’altro, senza nessuna sfida o agonismo.

C’mon C’mon è una grandissima opera che lavora perfettamente sui sentimenti e su un’importante e ricca mole contenutistica. Purtroppo il lungometraggio di Mills non riesce sempre bene a scindere quello che è il messaggio fondante del film con gli altri elementi di riflessione, ma in generale confeziona una storia brillante, mai banale che trasmette tanti valori al pubblico. La regia inquadra sempre degnamente il fluire delle emozioni mentre la sceneggiatura, con scelte intelligenti, fresche e anche ironiche, costruisce personaggi credibili e uno scambio ottimo tra questi, soprattutto tra i due comprimari. Joaquin Phoenix e Woody Norman, entrambi in stato di grazia, sono affiatatissimi e contribuiscono attivamente al forte impatto emotivo della pellicola.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

4